Neonato muore durante il parto: indagate dottoressa e ostetrica

La mamma è una 37enne di Atessa. La tragedia al Santo Spirito dopo un lungo travaglio. Il pm Gennaro Varone ordina l’autopsia e nomina come medico legale Cristian D’Ovidio
PESCARA. Non ha pianto, Francesco. Non ha visto la luce di una sala parto, non ha sentito la voce di sua madre. Il suo primo giorno nel mondo è stato anche l’ultimo, dentro l’ospedale di Pescara, dove l’attesa di una coppia di Atessa si è spenta in un silenzio irreale. Una vita finita prima di iniziare, una tragedia che ora cerca una verità nelle pieghe di un’inchiesta giudiziaria. Un medico e un’ostetrica sono stati iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo.
Si tratta di un atto dovuto, un passo necessario a garanzia di tutte le parti per poter eseguire l’autopsia, l’accertamento irripetibile che dovrà provare a dare le prime risposte. Il fascicolo è sul tavolo del pubblico ministero Gennaro Varone, aperto dopo la denuncia presentata ai carabinieri dal padre, un uomo di 37 anni che, insieme alla moglie coetanea, ha visto la gioia trasformarsi nel suo esatto contrario. L’incarico per l’esame medico-legale verrà affidato questa mattina al professor Cristian D’Ovidio. Il suo compito sarà quello di stabilire con esattezza il momento e le cause del decesso, per poi permettere agli inquirenti di valutare l’esistenza di eventuali negligenze o imperizie professionali.
Sia la famiglia (assistita dall’avvocato Italo Colaneri) che le due indagate – la dottoressa e l’ostetrica – avranno la facoltà di nominare propri consulenti, in un percorso che mira a garantire la massima trasparenza. Tutto era iniziato con la normalità di un evento atteso. La borsa pronta da giorni, il viaggio verso Pescara per un parto programmato, la fiducia riposta in chi li avrebbe assistiti. Secondo la denuncia del padre, il 10 settembre la coppia era entrata in ospedale con la prospettiva di un parto naturale. I primi controlli, ha raccontato l’uomo, non avevano evidenziato alcuna complicazione. Le ore trascorrevano in quella bolla sospesa che è una stanza d’ospedale, con il suono ritmico del monitoraggio a fare da colonna sonora a sogni e progetti. Parlavano di come sarebbe stato il loro secondo figlio, del carattere che avrebbe avuto, di un futuro che sembrava a un passo.
L’attesa, però, si è protratta più del previsto. Le ore del giorno successivo si sono accumulate l’una sull’altra, trascinandosi dietro una stanchezza profonda che si leggeva sul volto della futura madre, ormai stremata dal lungo travaglio. L’ipotesi del cesareo non è stata ritenuta percorribile. La coppia si è affidata, ha continuato a sperare, aggrappata all’idea che presto tutto quel dolore sarebbe stato cancellato dal primo abbraccio. Poco prima di mezzanotte, Francesco è nato. Ma il primo vagito, quel suono potente e liberatorio che avrebbe dovuto segnare l’inizio di tutto, non è mai arrivato.
Il padre ha raccontato di non aver ricevuto alcuna comunicazione di anomalie fino a quel preciso istante. Ha visto l’ostetrica prendere in braccio suo figlio, un corpo piccolo e immobile, che non piangeva, non si muoveva. In quella sospensione irreale, l’atmosfera nella sala parto è cambiata bruscamente. Sono scattate le manovre di rianimazione, un tentativo disperato e prolungato di richiamare in vita chi non l’aveva ancora assaporata, mentre la speranza dei genitori si sgretolava a ogni secondo che passava, trasformandosi prima in incredulità, poi in una devastante, inaccettabile certezza.
Quando ogni tentativo si è rivelato vano e il personale medico ha dovuto arrendersi all’inevitabile, il tempo per la coppia si è cristallizzato in un dolore assoluto. I suoni acuti degli allarmi si sono spenti, lasciando un vuoto ancora più assordante. È in quel limbo, di fronte a domande a cui nessuno in quella stanza poteva dare risposta, che il padre ha compiuto l’unico gesto che gli sembrava possibile: rivolgersi alle autorità. Non un atto di accusa immediata, ma una richiesta di chiarezza. La sua denuncia è diventata così l’atto formale che ha dato avvio all’inchiesta, un tentativo di trovare un senso logico e una verità fattuale dentro una sofferenza che non ne ha. Ora la verità è chiusa in una cartella clinica, sequestrata dai carabinieri. Spetterà a un’autopsia darle una voce, nel rispetto di un dolore che non ne avrà mai.
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