Non ci sono i permessi: scontro giudiziario sulla vendita di un palazzo storico a Pescara

Arriva davanti al Consiglio di Stato la compravendita da 1,3 milioni per un palazzo in via Cesare Battisti: Provincia e Gestioni Culturali di Mattoscio si schierano contro i dettami della Soprintendenza
PESCARA. Un palazzo, comprato a un prezzo di 1,3 milioni di euro, che svetta su via Cesare Battisti chissà da quando, forse già dal 1947 oppure più in là. Dalle finestre dell’ultimo piano si apre la vista su Pescara: uno spiraglio di viale Muzii, la distesa dei palazzi che dai Colli digrada verso il centro, una striscia di mare che si perde nel confine del cielo. C’è proprio questo ultimo piano al centro di un groviglio amministrativo: secondo gli atti giudiziari, adesso, il terzo piano del palazzo che ospita la sede dell’Isia (Istituto superiore per le industrie artistiche) del ministero dell’Università, sarebbe abusivo. Un (presunto) abuso però con il via libera del Comune di Pescara che ha rilasciato il permesso di costruire. Davanti al Consiglio di Stato ora va in scena un contenzioso che oppone enti pubblici e personaggi di spicco: l’ingrediente che fa impazzire una maionese amministrativa è un decreto di vincolo storico. Quel vincolo «di interesse culturale» (quasi) nessuno lo vorrebbe, ma la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio dell’Abruzzo dice che esiste. E ora c’è attesa per l’udienza di merito, fissata a breve, e poi per la sentenza del Consiglio di Stato.
IL PALAZZO COMPRATO Tutto comincia il 27 dicembre del 2018 quando la società Gestioni Culturali srl, controllata dalla Fondazione PescarAbruzzo del presidente Nicola Mattoscio, acquista dalla Provincia di Pescara l’immobile di via Battisti, 198: è un palazzo distrutto dalle bombe della Seconda guerra mondiale e poi ricostruito. Un edificio tornato alla vita tra il 1947 e il 1948 anche se non c’è certezza sulla data precisa. L’offerta della Gestioni Culturali di 1,3 milioni è l’unica e la compravendita va in porto. Ma, poco dopo, l’atto diventa carta straccia e qui il caso si fa intricato: prima di vendere l’immobile, la Provincia aveva chiesto alla Soprintendenza di esprimersi e dire se, sul palazzo che aveva ospitato l’ex istituto per l’elaiotecnica, c’è un vincolo storico oppure no. Nel giro di sei mesi, non era arrivato alcun parere e, fidandosi di un aleatorio silenzio/diniego, Provincia e Gestioni culturali perfezionano la transazione e l’immobile passa di mano. Un anno e mezzo dopo, però, la Soprintendenza serve il colpo di scena: la stessa Soprintendenza dice che il vincolo storico esiste perché l’immobile ha più di 70 anni e ha «un interesse culturale». È soltanto un dettaglio per gli appassionati di burocrazia? Niente affatto: è un pilastro amministrativo e adesso tutta l’operazione immobiliare tra Provincia e Gestioni Culturali potrebbe crollare come un castello di carte.
EFFETTO DOMINO La prima conseguenza è che, secondo il Tar di Pescara, l’atto di compravendita tra Provincia e privato sarebbe irregolare: manca la citazione del vincolo storico. Questa è la sintesi della sentenza di primo grado: «La vendita, tuttavia, veniva dichiarata nulla in data 20 febbraio 2020 dal segretariato regionale del ministero della Cultura, poiché posta in essere in assenza di apposita autorizzazione». E la stessa sentenza del Tar rivela cosa avrebbe dovuto fare la Provincia prima di vendere: «Nonostante l’inerzia dell’amministrazione resistente (la Soprintendenza, ndr), la Provincia avrebbe dovuto astenersi dal procedere all’alienazione dell’immobile in data 27/12/2018, stante la permanenza del regime presuntivo di bene culturale dello stesso, e avrebbe potuto reagire avverso il silenzio mantenuto dall'amministrazione avvalendosi degli strumenti offerti dalla disciplina generale del procedimento amministrativo, ovvero con ricorso al giudice amministrativo avverso il silenzio». E allora l’atto di compravendita, recita la sentenza, sarebbe segnato da «una condizione di inalienabilità del bene».
UN PIANO NEL LIMBO Il secondo effetto è che, per eseguire lavori al palazzo, dalla manutenzione fino agli interventi più impattanti, servono autorizzazioni speciali: dopo l’acquisto dalla Provincia, la Gestioni Culturali alza lo stabile di un piano. Un terzo piano che prima non c’era e adesso c’è: se i lavori sono eseguiti in assenza di autorizzazioni paesaggistiche, allora, quel piano potrebbe essere definito un abuso edilizio. Un abuso però “legalizzato” perché la Gestioni Culturali aveva comunque ottenuto il permesso di costruire dal Comune di Pescara che però aveva ignorato la questione del vincolo storico.