Pagliari: anche mio padre non tutelato

Parla Domenico, figlio del balneatore ucciso al parco da un ergastolano in licenza: come per Orlando, lo Stato assente

PESCARA. Piange e si arrabbia Domenico Pagliari, perché dopo quasi sette anni il dolore è sempre quello e la rabbia, se possibile, ancora di più. Come il povero Giandomenico Orlando, anche suo padre Mario Pagliari è stato ucciso, «da qualcuno che si poteva fermare. In entrambi i casi», accusa Domenico, «non hanno fatto nulla per evitarlo».

Tra i primi ad accorrere in via Buozzi mercoledì scorso, quando il povero pasticciere è stato ucciso con quattro coltellate dal vicino più volte denunciato per le minacce e le aggressioni alla famiglia dell’artigiano, Pagliari, che con la madre e i fratelli manda avanti lo stabilimento balneare Apollo lasciatogli dal padre dopo 50 anni di lavoro in mare, attacca subito: «L’assassino di papà era un pregiudicato che non poteva fare servizio in un parco pubblico, ma qualcuno gliel’ha consentito. Eppure, dopo quello che è successo, quel magistrato di sorveglianza che gli diede la licenza per venire a lavorare al parco, non ha pagato il suo errore di valutazione. Anzi, è stato prosciolto e promosso e oggi è giudice civile alla Corte d’Appello a Roma. Ma mi chiedo perché, se un poveraccio ruba in un supermercato per sfamare i figli la giustizia si accanisce, e se invece un magistrato sbaglia non succede nulla? Pagano i medici, pagano tutte le categorie, ma i magistrati no. È questo che vorrei chiedere a Renzi, è per questo che chiedo pubblicamente di poterlo incontrare: per raccontargli quello che è successo a Pescara a due grandissimi lavoratori come mio padre e come Giandomenico Orlando, morti perché questo Stato non tutela le persone perbene. Dei soldi, del risarcimento non me ne importa niente, ho sempre detto che qualsiasi cosa ci daranno la daremo in beneficenza al reparto di Ematologia. Perché in questi quasi sette anni mio padre si è perso i nipoti, e le cose più belle dopo 50 anni di lavoro. Ci ha lasciato questo stabilimento e neanche ce lo stiamo godendo perché», conclude affranto Domenico, «qui dentro tutto ci ricorda lui».

Persa la battaglia in sede penale, dopo che nel 2012 il gup di Pescara ha prosciolto dall’accusa di concorso colposo in omicidio volontario il magistrato di sorveglianza di Modena che nel 2008 ritenne di concedere al camorrista Michelangelo D’Agostino (oggi all’ergastolo e con altri 15 omicidi alle spalle) la licenza lavorativa nella cooperativa che si occupava della manutenzione del parco di Villa de Riseis per conto del Comune, la famiglia Pagliari assistita dall’avvocato Giuseppina D’Angelo ha cercato giustizia in sede civile.

«Abbiamo fatto una causa civile nei confronti del magistrato di sorveglianza che ebbe a concedere la licenza a D’Agostino con la normativa vigente all’epoca, la 117 del ’98», spiega l’avvocato, «consapevoli, come poi si è rivelato, che la normativa restringe a poche ipotesi l’ammissibilità dell’azione nei confronti di un magistrato. Anche la Corte d’Appello non ha ritenuto ravvisabile nella condotta del magistrato fatti riconducibilli alla legge speciale, tant’è che l’udienza filtro, che si è tenuta alcuni anni fa ma il cui provvedimento è stato emesso solo pochi mesi fa, non ci ha consentito di continuare. Ma la nostra battaglia», afferma il legale per conto della famiglia Pagliari, «va comunque avanti, anche se in modo discreto e con i tempi lunghi che ci sono. Oggi», spiega, «invochiamo la mancata piena attuazione della direttiva comunitaria che prevede in ogni Stato membro l’attuazione di un fondo di garanzia per indennizzare le vittime e i parenti delle vittime dei reati intenzionali violenti, come sono l’omicidio e lo stupro. In Italia non è stata ancora data piena attuazione a questa direttiva, in sostanza non c’è un sistema di tutela indennitaria e per questo chiediamo che il Parlamento acceleri l’iter per l’approvazione di questo fondo di garanzia a tutela di centinaia di vittime che non hanno neanche i mezzi per fare causa».

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