Pescara, armatori esasperati "Porto inagibile, andiamo via"

17 Aprile 2011

I pescatori sul piede di guerra: "Istituzioni assenti, ci trasferiamo a Ortona e Giulianova"

PESCARA. «'Nzomme, seme duvute murì». A celebrare il funerale della marineria pescarese, uccisa dall'insabbiamento del porto canale, è Massimo Camplone, padrone di tre barche. Insieme a lui, ieri mattina, sulla banchina nord c'erano tanti altri armatori. Tutti concordi nel dire che così non si può più andare avanti, che il porto in questo stato «è inagibile, va chiuso». E che se nessuno interverrà allora ci penseranno loro, gli armatori, a uccidere un'attività più antica della città stessa.

«Ce ne andiamo a Ortona e a Giulianova», hanno minacciato. Quella convocata ieri mattina dalla marineria doveva essere una conferenza stampa per annunciare lo stato di agitazione. È degenerata in un curioso incrocio tra l'assemblea, la lamentazione collettiva per le condizioni in cui i pescatori sono costretti a lavorare e l'attacco alle istituzioni incapaci, a detta degli armatori, di fornire qualsiasi soluzione. I pescatori stanno valutando iniziative di protesta come il blocco dell'Asse attrezzato, già fatto a marzo, del porto e della stazione.

Ma soprattutto minacciano di trasferire tutte le loro attività a Ortona e Giulianova. «Il porto in queste condizioni è inagibile», sostiene Massimo Camplone, «va chiuso. Altrimenti ci penseremo noi: il tempo di riorganizzare le aziende e ci spostiamo tutti. La pesca, un'attività più antica della città stessa, finirà così». «Ce ne dobbiamo andare», dice lapidario Francesco Scordella, rappresentante degli armatori al Forum per l'emergenza porto. Nel frattempo i suoi colleghi snocciolano il rosario dei problemi quotidiani provocati dall'insabbiamento.

RIFORNIMENTO «Ormai da tempo dobbiamo andare a fare rifornimento a Ortona o Giulianova, perché la colonnina per la nafta, che è sul fiume, è diventata impossibile da raggiungere per le barche più grosse», dice l'altro Massimo Camplone della marineria. «Per di più», spiega un altro armatore, «siamo costretti a riempire i serbatoi sempre per un terzo della loro capienza, perché altrimenti le barche pesano troppo e in porto toccano il fondo».

INCIDENTI «Con il fondale in queste condizioni gli incidenti sono all'ordine del giorno», dice Camplone. Un elenco ufficiale dei danni subiti dalle barche non c'è, e neppure ci sarà visto che i pescatori spesso non denunciano per evitare di dover aspettare che il Registro navale omologhi la riparazione e li rimandi in mare. Ma in porto c'è chi parla di ventimila euro solo il mese scorso. «Affrontiamo il mare forza sette e non abbiamo paura. La paura arriva quando dobbiamo rientrare in porto», spiegano.

IN BARCA COL BADILE «Ogni volta che andiamo in mare», dice il presidente dell'associazione armatori Lucio Di Giovanni, «dobbiamo uscire parecchio tempo prima e fermarci al largo per pulire i motori, le casse fango, gli impianti: quelli funzionano pescando acqua dal mare, ma adesso pescano solo fango in porto e si intasano». «Ormai in barca ci portiamo il badile per spalare il fango: le pare normale?», dice Camplone.

ISTITUZIONI ASSENTI «In questa vicenda noi pescatori non abbiamo un interlocutore», dice Scordella. «Dal presidente della Regione all'assessore alla Pesca, che qui non si è mai fatto vedere, fino al direttore marittimo, al provveditorato e al prefetto, nessuno ha fatto niente da quando l'emergenza è iniziata. Chi ha sbagliato deve pagare».

POTERI A GOIO Intanto ieri l'assessore regionale ai trasporti Giandonato Morra ha annunciato che chiederà la modifica dell'ordinanza con cui si concedono i poteri al commissario Adriano Goio. «Stiamo cercando di convincere Goio ad accettare l'incarico e stiamo anche chiedendo alla Protezione civile di riscrivere completamente l'ordinanza conferendo le competenze necessarie al commissario».

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