Pescara: padre si dà fuoco con la figlia, la madre non riesce a salvarla

Orrore a Rancitelli: muore con la bimba di 5 anni davanti all’ex compagna, ustionata nel tentativo di salvare la piccola all’abbraccio mortale nel rogo. L’uomo era stato condannato per maltrattamenti
PESCARA. L’ultimo, folle abbraccio del papà alla sua bambina è stato il più forte di tutti.
Lei, appena 5 anni, non è riuscita a scappare da quell’auto diventata un falò e la mamma non ce l’ha fatta a strapparla dalle braccia serrate, impossibili da spalancare neanche con la forza della disperazione. Una miscela di amore diventato odio è la causa della tragedia accaduta intorno alle 18 di ieri in via Lago di Chiusi, a Pescara. Due morti bruciati con la benzina e un accendino: un papà di 48 anni, Gianfranco Di Zio, sprofondato nella disperazione per una storia d’amore finita con una sentenza del tribunale per maltrattamenti, e una bambina innocente, Neyda, strappata alla vita per la più assurda delle vendette. La madre, Ena Pietrangelo, 44 anni e altre tre figlie, è la sopravvissuta all’orrore: è ricoverata nel Centro grandi ustionati dell’ospedale Sant’Eugenio di Roma con ustioni su mani, gambe e volto. Non può ancora raccontare quello che è successo in quest’angolo di Pescara circondato dal degrado delle fabbriche dismesse: è sotto sedativi e le sue condizioni sono gravi.
Auto in fiamme. A lanciare l’allarme è stata una coppia che stava camminando nella zona di via Lago di Chiusi, a Rancitelli: i due hanno visto il fumo uscire dalla Peugeot 206 blu, intestata a un’altra persona ma usata da Pietrangelo, e hanno chiamato i soccorsi. Prima i vigili del fuoco e poi il 118. La coppia si è trovata davanti la donna: stava scappando con il fuoco tra i capelli e i vestiti in fiamme, cercava di spogliarsi e chiedeva aiuto (leggi le testimonianze).
I primi ad arrivare sono stati i vigili del fuoco, che hanno scoperto che non era andata a fuoco soltanto una macchina: dentro, sul sedile posteriore, c’erano due persone, ormai carbonizzate. Il papà seduto, con la bambina in braccio, scivolata tra le sue gambe e lo schienale dei sedili anteriori. Un fotogramma impossibile da dimenticare: così è stato per la coppia che, dopo l’arrivo dei soccorritori, ha lasciato via Lago di Chiusi tra la disperazione e così è stato anche per gli stessi soccorritori e il questore Paolo Passamonti. La donna che si è salvata dal rogo è stata caricata sull’ambulanza del 118 e ai medici e agli infermieri ha raccontato frammenti di quegli attimi infiniti: un racconto che è finito quasi subito, quando è stata sedata e trasferita dall’ospedale di Pescara a Roma.
Visita dalla nonna. Dell’abitacolo della macchina non è rimasto niente: solo lo scheletro dei sedili e il telaio. Secondo la ricostruzione della squadra mobile, guidata dal capo Pierfrancesco Muriana, verso le 16 Pietrangelo ha portato la figlia a casa della nonna, la madre di Di Zio, in via Moro per una visita. Ascoltata dalla polizia, la nonna ha raccontato che all’incontro non c’era il figlio e di aver visto solo la nipote e la madre. Poi, però, c’è stato l’incontro tra Ena e Gianfranco fino alla strada della tragedia, tra i ruderi dell’ex conceria Cogolo, l’ex olearia Scibilia e i camion dei rifiuti dell’Attiva, ma non si sa ancora dove i due si siano visti, come e perché: lui potrebbe averla aspettata in via Moro; potrebbe averla seguita – lei agli assistenti sociali di Cepagatti che la seguivano ha raccontato più volte di essere stata pedinata; oppure la coppia potrebbe essersi data un appuntamento visto che, secondo i racconti dei parenti, Ena permetteva al padre di vedere la figlia anche al di fuori dei limiti imposti dal tribunale. Di certo c’è che all’improvviso, all’apice della discussione, è spuntata una bottiglia o una tanica di benzina che Di Zio ha gettato addosso a tutti: c’è voluto soltanto un attimo per appiccare il fuoco e trasformare l’ennesima lite in tragedia. La donna, seduta davanti, ha provato a strappare la figlia dall’abbraccio mortale del padre, come dimostrano le ustioni alle mani, ma non ce l’ha fatta. L’ha tirata, ma non è riuscita a divincolarla da quella presa. Allora, è scappata e ha chiesto aiuto.
Separazione e denuncia. Il perché di un gesto insensato sta in una spirale di fatti concatenati: Pietrangelo e Di Zio, già una separazione alle spalle con un figlio di 16 anni, si sono messi insieme nel 2008, quando lei ha lasciato il primo marito che le aveva dato tre figlie, la più grande ha 20 anni, le altre due sono minorenni. Poi, i due sono andati a vivere insieme a Cepagatti, in via Valignani, e nel 2009 hanno avuto la loro figlia, Neyda. Ma, da quando è nata la piccola, i meccanismi della coppia sono saltati: Di Zio non voleva che la bambina vivesse con le sorellastre, era diventato sempre più possessivo e la follia del possesso si rifletteva nel rapporto con la convivente. Fino a quando, nell’aprile 2013, lei lo ha denunciato per maltrattamenti, raccontando mesi di liti e soprusi ai carabinieri di Cepagatti. Dalla relazione dei carabinieri, a maggio 2013, è scaturito un provvedimento del tribunale che ha allontanato Di Zio da casa. Cinque mesi dopo, a ottobre 2013, Di Zio – che nel frattempo è tornato a vivere dalla madre – è stato condannato a un anno e tre mesi e il tribunale dei minori dell’Aquila ha disposto che il padre potesse vedere la figlia solo all’asilo di Cepagatti e un’ora a settimana, alla presenza degli operatori sociali del Comune.
Seguita dai Servizi sociali. Dalla denuncia alla condanna del convivente, Ena è stata seguita dai Servizi sociali del Comune di Cepagatti. Il sindaco Sirena Rapattoni ha incontrato Pietrangelo un mese dopo essere stata eletta, a giugno 2013: «Sono inorridita. Non ci sono ragioni che possano giustificare tanta violenza e questo è il modo più atroce per colpire una donna: farla assistere alla morte della sua bambina».
L’indagine. L’inchiesta è in mano al pm Andrea Papalia: oggi sarà affidato l’incarico a un medico legale per l’autopsia.
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