Pescara, sette anni senza Bruno Pace: ora il Palasport avrà suo nome

6 Febbraio 2025

L’ex bocciodromo, oggi palazzetto, in via Dalla Chiesa sarà dedicato all’ex calciatore che indossò al principio della sua carriera la divisa del Pescara, come raccontò in un’intervista al Centro

PESCARA. Dietro al pallone, da giocatore prima e da allenatore poi, ha girato l’Italia, ma quando ha dovuto scegliere con la moglie Cristina dove far crescere i figli Federico e Vittorio, è a Pescara, nella sua Pescara, che ha scelto di fermarsi. Domani sono sette anni che Bruno Pace se n’è andato (aveva 74 anni), ma la città non l’ha mai dimenticato. E ora, prima dell’estate, gli sarà intitolato il nuovo palazzetto di via Dalla Chiesa, l’ex bocciodromo: «Bruno Pace è stato un pescarese doc», dice il sindaco Carlo Masci promotore dell’iniziativa, «un uomo di sport, rappresentante di un calcio romantico che oggi merita il riconoscimento della città».

Una bandiera della pescaresità, Bruno Pace, pur avendo vestito i colori biancazzurri solo al principio della sua carriera, iniziata così, come raccontò lui stesso a Giovanni Tontodonati sul Centro: «Un giorno mi chiamarono alcuni amici, tra cui Edmondo Prosperi e Giuseppe Romoli, per chiedermi se volevo andare a giocare una partita con la “De Martino” del Pescara, la Primavera dell’epoca. Mi presentai a bordo di un Vespa con un sigaro in bocca. Dovevate vedere l’espressione dell’allenatore, Ostavo Mincarelli! Mi diedero un paio di scarpe con numeri diversi, allora decisi di tagliare la punta di quella stretta. Giocai bene e venni ingaggiato dal Pescara». Da lì, senza perdere mai la leggerezza e l’ironia di quel ragazzetto in Vespa, Pace ha poi giocato con Padova, Bologna, Palermo, Hellas Verona. E con il Bologna in particolare, di cui fu l’ala titolare, vinse uno scudetto nel 1964 e una Coppa Italia nel 1970. E di nuovo la serie A da allenatore, con Catanzaro e Pisa, per chiudere con Francavilla, Chieti e Foggia. Ma lui, nato in piazza Garibaldi, nel cuore di Porta Nuova, è sempre a Pescara che tornava. «Lo faceva da ragazzo, quando giocava nel Bologna», racconta il figlio Vittorio, «l’autostrada del Sole non era ancora ultimata nel tratto abruzzese e lui pur di passare la serata con gli amici a Pescara, dopo l’allenamento del martedì si faceva cinque ore di macchina, e ripartiva il giorno dopo. Papà amava tornare qui, lo faceva sentire libero, si sentiva orgogliosamente pescarese e soprattutto non ha mai sentito la città come provinciale, come i maligni la rappresentano. No anzi, lui l’ha sempre vissuta come una città aperta, trasparente, generosa, per questo è voluto rimanere sempre qui, primo tifoso della città e della squadra». 

E per questo alla vigilia di un anniversario che resta comunque quello di una mancanza, la notizia del nuovo palazzetto intitolato «a Bruno», è accolta «con grande onore» dalla sua famiglia. Lo dice per tutti ancora Vittorio: «Non gli piaceva rompere le scatole, chiedere, e noi siamo cresciuti con questa educazione. Questo riconoscimento è ancora più bello proprio perché da parte nostra non c’è stata alcuna richiesta, e diventa un motivo di grande orgoglio anche per i suoi nipoti Riccardo, Alessandro Veronica, Francesco e Leonardo che fanno sport e potranno ritrovarsi nel palazzetto intitolato al nonno». «Bruno Pace ha rappresentato un’epoca del calcio in cui i rapporti umani e la passione erano fondamentali», riprende Masci. «Lo conoscevo personalmente, sempre scherzoso, gioviale, brillante, un modo di approcciarsi alla vita sempre positivo. Merita di essere ricordato così, con questo nuovo palazzetto dello sport». Diplomato al liceo classico D’Annunzio, «papà amava leggere, declamare le poesie, per questo», riprende Vittorio, «a Bologna lo chiamavano il Poeta». Ma oggi, conclude il figlio, «più di ogni cosa, manca la sua ironia, quella che metteva da opinionista nelle sue apparizioni televisive locali, l’ironia di considerare il calcio comunque come un gioco. Un’ironia alla Flaiano che oggi non vedo più».