Primo Maggio, le radici abruzzesi

Nell’era giolittiana le manifestazioni nel Fucino e nell’area di Popoli-Bussi

La data del 1º maggio venne per la prima volta abbinata alla rivendicazione delle otto ore lavorative dal IV congresso dell’American Federation of Labor, svoltosi a Chicago nel novembre 1884. Le ragioni di quella scelta rimandavano alla consuetudine diffusa in alcuni stati degli Usa di dare inizio proprio a partire da quel giorno alle locazioni, ai fitti e ai contratti di lavoro.

Le origini e la storia del Primo Maggio affondano quindi le radici nelle lotte che nel secondo Ottocento le classi lavoratrici, soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti, conducevano per la riduzione del tempo di lavoro e, più precisamente, per la conquista delle otto ore lavorative, in base al principio dei «tre otto», ossia alla divisione della giornata in otto ore da destinare al lavoro, otto ore allo svago e otto ore al sonno.

Un momento importante di questa battaglia si era già avuto con il congresso sindacale tenutosi sempre negli Stati Uniti, a Baltimora, nell’agosto del 1866. Lì le rappresentanze dei lavoratori avevano chiesto che la giornata lavorativa di otto ore venisse sancita da una legge «per liberare il lavoro dalla schiavitù capitalista». Contemporaneamente un analogo obiettivo veniva indicato dal vertice della Prima Internazionale Socialista riunito a Ginevra.
Ma fu in America che le lotte operaie per le otto ore toccarono sul finire dell’Ottocento il massimo di organizzazione e di intensità, giungendo a strappare anche i primi concreti risultati.

La scelta del 1º maggio come «Festa del lavoro», tuttavia, racchiudeva in sé anche altri significati, che richiamavano alla mente antiche tradizioni folkloriche legate ai riti della primavera, all’identificazione di quel giorno con il riaprirsi del ciclo naturale delle produzioni agricole, con il rigenerarsi in sostanza della vita stessa. Una data simbolo, dunque, di «rinascita» generale. Ma ad imprimerle una specifica direzione tutela dei diritti per il mondo del lavoro fu il movimento operaio.

I progressi registrati dai nascenti partiti socialisti negli anni ottanta dell’Ottocento crearono le condizioni per una ripresa del dibattito e delle lotte intorno a tale obiettivo.
La decisione più importante, forse definitiva, venne adottata con il congresso da cui prese le mosse la Seconda Internazionale, svoltosi nel luglio 1889 a Parigi, in occasione del centenario della presa della Bastiglia. Si approvò allora all’unanimità una mozione che indicava nel Primo Maggio una giornata di lotta internazionale «a data fissa in modo che in tutti i paesi e in tutte le città, lo stesso giorno convenuto, i lavoratori ingiungano ai poteri pubblici di ridurre legalmente la giornata lavorativa a otto ore».
Ma perché si giungesse al riconoscimento formale di questa festa, o quanto meno a tollerarla, dovettero trascorrere ancora molti anni. In Italia questo avvenne nel primo decennio del Novecento, quando i conflitti tra capitale e lavoro, grazie alla politica di Giolitti, cominciarono ad entrare in una normale logica di relazioni sociali.

Nel periodo giolittiano anche in Abruzzo cominciarono a registrarsi le prime manifestazioni, insieme di lotta e di festa, il giorno del 1º maggio, soprattutto in alcune zone bracciantili del Fucino e nell’area di Popoli-Bussi, dove allora si era formato un primo consistente nucleo industriale, e quindi di proletariato. Poi la dittatura fascista tentò di cancellare il Primo Maggio. Contro questa celebrazione, che era ormai diventata anche nella nostra regione l’appuntamento più importante delle giovani organizzazioni socialiste, si accanirono con particolare violenza le squadracce fasciste.

Può essere significativo ciò che accadde a Vasto nell’aprile-maggio del 1921: un microcosmo che sintetizza molto bene il clima generale che si respirava in Abruzzo come in Italia. A metà aprile qui si erano verificati durissimi scontri, con sparatorie e feriti, tra fascisti e socialisti. Questi ultimi ebbero la peggio. Tra le altre conseguenze quell’anno venne impedita la celebrazione del Primo Maggio. Come altrove, il movimento fascista avanzava con il sostegno delle autorità costituite e degli schieramenti che si rifacevano al vecchio liberalismo. L’episodio rappresentò probabilmente un momento di svolta nella storia dell’Abruzzo: da allora divenne inarrestabile il progressivo cedimento delle forze democratiche (compresi i popolari che già avevano in Spataro il rappresentante più autorevole) di fronte all’offensiva reazionaria, di cui lo squadrismo non era che la punta più brutale e virulenta.

Le elezioni politiche del 15 maggio 1921 si svolsero in un clima di forte tensione e di violenza: «elezioni di terrore e di sangue», le definì La Conquista Proletaria, il settimanale della Federazione socialista di Chieti. In quell’occasione i socialisti vastesi, pur avendo avuto due volte le schede elettorali bruciate, erano ugualmente riusciti a deporre nell’urna 540 voti. In seguito essi mostrarono persino qualche segno di ripresa.
L’anno successivo, infatti, ebbero addirittura la forza di tornare a celebrare la Festa del Lavoro. Un centinaio di militanti, soprattutto giovani, si recarono in contrada Sant’Antonio Abate, loro tradizionale roccaforte, e lì svolsero una manifestazione nel corso della quale presero la parola alcuni dirigenti locali e provinciali. Poi in corteo, cantando come al solito gli inni proletari, rientrarono in città.

Scrisse La Conquista Proletaria: «Mancò la bandiera della Sezione perché ancora prigioniera, ma i compagni la sostituirono con i fiori rossi che portavano all’occhiello della giacca. Se si considera quello che avvenne un anno fa, il proletariato e gli organi superiori del nostro partito devono essere contenti della suaccennata manifestazione, come del resto sono rimasti contenti i socialisti vastesi».
Vennero anche raccolte 42 lire per il quotidiano Avanti che gli furono subito spedite. Stando però a una successiva nota della sottoprefettura, la sezione socialista di Vasto si sarebbe sciolta già nell’agosto di quell’anno.
Bisognerà attendere il 1945, dopo la catastrofe della guerra e la liberazione dal nazifascismo, perché si potesse tornare a celebrare anche in Abruzzo la festa del Primo Maggio.

* Docente di storia all’università D’Annunzio

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