Sdp: questo è un sopruso, risponderemo duramente

8 Luglio 2022

La concessionaria contesta le motivazioni: trattati come il crollo del Morandi E avverte: questa decisione è una ritorsione, mette a rischio 1.700 lavoratori

L’AQUILA. Rabbia e sconcerto. Strada dei Parchi non ci sta. E bolla la revoca della concessione delle autostrade A24 e A25 come «un sopruso contro il quale reagiremo duramente». Nascerà un contenzioso miliardario. E non solo. La società afferma di «aver appreso via stampa, senza alcuna comunicazione preventiva» quella che definisce «un’inaudita e immotivata decisione, tesa a umiliare e penalizzare un gruppo imprenditoriale il cui solo torto è di aver investito in Italia credendo nell’apprezzamento delle istituzioni». La notizia della revoca è arrivata come una bomba: Strada dei Parchi era diventata titolare della concessione esattamente un ventennio fa, nel 2002, aggiudicandosi la gara europea che lo Stato aveva indetto dopo aver preso atto di due successivi default delle società dell’Anas, che gestivano i due tratti autostradali. E alla quale A24 e A25 ora tornano.
SCELTA RITORSIVA. La nota stampa diramata da Strada dei Parchi ha toni durissimi: «È una scelta ritorsiva del tutto ingiustificata, sia per ragioni di procedura che di merito», si legge, «prima di tutto, perché giunge fuori tempo massimo, visto che Strada dei Parchi ha notificato il 12 maggio scorso ai ministeri delle Infrastrutture e dell’Economia la propria unilaterale decisione di avvio delle procedure per il recesso e la cessazione anticipata della concessione, essendo venute definitivamente meno le condizioni minime in grado di garantire una efficace operatività in una condizione di equilibrio economico-finanziario. È, dunque, Strada dei Parchi che ha deciso di risolvere in via anticipata il contratto, la cui scadenza naturale è fissata al 2030. Ed è a questa decisione che il ministero delle Infrastrutture aveva il dovere di rispondere attivando le procedure per definire l’indennizzo dovuto, come previsto dalla concessione medesima». Ma per come è andata a finire, la risoluzione del contratto non è indolore per lo Stato: finirà in tribunale, come fa ben capire l’ormai ex concessionaria, che chiederà i danni.
LE MOTIVAZIONI. Alla base della richiesta di rescissione, da parte della società della holding abruzzese Toto, c'era una precisa motivazione. «Tale sofferta decisione è maturata dopo la bocciatura da parte del Cipess dell’ennesimo Piano economico e finanziario, cioè lo strumento per mettere in sicurezza l’infrastruttura dal rischio terremoti e adeguarla alle nuove normative europee e nazionali, e di fronte alla constatazione che pur essendo il Piano economico iniziale di Strada dei Parchi scaduto nel 2013, da allora, nonostante 18 diverse proposte sviluppate, nulla è mai stato deciso».
Invece la storia si è ribaltata: Sdp è fuori per colpe gravi, dice il governo. Come se fosse crollato il ponte Morandi. «Ma non sussistono», ribatte la società Parchi, «le ragioni giuridiche per l’applicazione dell’articolo 35 che ha sancito la revoca e che, anzi, viola apertamente e senza giusta causa i contratti in essere».
NESSUNA INADEMPIENZA. «Strada dei parchi non è inadempiente», ribadisce la nota, «anzi, ha provveduto a pagare in proprio interventi urgenti che non le competevano e ha sopportato il blocco delle tariffe dal 2015. Nessuna sentenza, neppure di primo grado, ha mai condannato la società o i suoi amministratori. Inoltre, le prove di carico ordinate da alcuni tribunali abruzzesi a periti professionisti hanno accertato, senza ombra di dubbio, che non sussiste alcun rischio per le infrastrutture e gli utenti».
PONTE MORANDI. «L’articolo 35 e la legge che lo contiene», spiega Sdp, «furono scritti subito dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova. Peccato che nel caso di Genova, a torto o a ragione, questo articolo di legge non sia stato usato. Adesso si pretende di applicarlo a Strada dei parchi, soltanto in base al presupposto, immaginato dal Ministero, che prima o poi possa accadere qualche incidente». Decisione che, obietta la società, poggerebbe «su una raccolta di documentazione che si ferma al 2019. Da allora, se il pericolo fosse stato davvero acclarato, perché sono stati fatti passare inutilmente tre anni?». Motivi più che validi, per la società, «per difendere in tutte le sedi il proprio buon nome e gli interessi legittimi che rappresenta, che sono quelli di un gruppo italiano che garantisce lavoro a 1.700 dipendenti e produce ricchezza pari all’8% del pil dell’Abruzzo».