Tangenti Pescara, tutti assolti. Il pm Varone: "Rifarei tutto"

14 Febbraio 2013
Intervista esclusiva al Centro dopo la sentenza che ha scagionato l’ex sindaco: "Non sono sorpreso mi ha colpito che non si è creduto ai testimoni. Non andrò via per questo"

PESCARA. «Non mi rimprovero nulla». E’ tornato nella città dove è nato 49 anni fa, il pm Gennaro Varone, il magistrato delle grandi inchieste che ha lasciato il segno in molti Comuni del pescarese ma che, lunedì mattina, è rimasto scottato, assistendo alla demolizione della sua accusa contro Luciano D’Alfonso e gli altri 23 imputati del processo. Diventato magistrato a 24 anni, Varone ha lavorato a Mantova, a Campobasso e nel 2002 è arrivato a Pescara diventando l’ incubo dei politici. Dopo la sentenza che ha scagionato l’ex sindaco, il pm ha accettato di riflettere su cosa è accaduto.

Dottore, l’assoluzione di D’Alfonso è una sentenza antivarone?

«E’ una decisione che, apparentemente, disconosce la validità del metodo di lavoro seguito: trarre verità storiche da una serrata analisi documentale per coordinarle logicamente tra loro. Rilevo, tuttavia, che anche dove c’erano testimonianze dirette, il risultato non è cambiato».

La prima cosa che ha pensato durante la lettura della sentenza?

«Non mi ha sorpreso».

Si rimprovera qualcosa nella conduzione dell'inchiesta o durante il processo?

«Nulla».

Qual è il messaggio di questa sentenza per un cittadino?

«Tenuto conto dei fatti ormai noti ritengo che una metà della città, emotivamente, l’abbia accolta compiaciuta e un’altra metà, emotivamente, se ne sia sentita indignata. Sono due metà... retoriche naturalmente. Se (non la sentenza, perché non è questo il compito dei giudici) questa vicenda, complessivamente, non lancia un segnale positivo, me ne assumo la mia parte di responsabilità».

15 dicembre 2008: Varone fa arrestare D’Alfonso. Lo rifarebbe?

«Ho agito con convinzione e ho fatto ciò che ritenevo giusto e doveroso in base al principio di legalità e al patrimonio logico che ci appartiene. Il compito del pm non è immaginare come potrà pensarla il tribunale ma chiedere l’applicazione della legge; e le sentenze di merito possono essere impugnate. Dunque, rifarei tutto allo stesso modo».

La famiglia di D'Alfonso chioccia, la villa comprata a prezzi stracciati, il rapporto con gli imprenditori: quale assoluzione l’ha sconcertata di più?

«Mi ha colpito non si sia creduto alle prove testimoniali dirette».

Sente la responsabilità di aver fatto virare il governo di una città?

«Si, ma ripeto, non agirei diversamente».

La sovraesposizione – il pm dei grandi arresti, il pm cantante per beneficenza – l’ha danneggiata, anche all'interno del tribunale?

«Io non ci avrei mai pensato».

Questa sentenza è una sconfitta per chi: per lei, per la società, per la giustizia?

«Posso rispondere per me Questo processo ha impegnato la mia professionalità. Dunque per me oggettivamente lo è. Ma questo non mi toglierà serenità né m’impedirà in alcun modo di proseguire nel mio lavoro, come sempre».

Ci sono altre sue due inchieste che la contrappongono a D’Alfonso, cambierà qualcosa nella sua impostazione accusatoria ?

«No».

Cosa le ha detto il procuratore De Siervo subito dopo la sentenza?

«Stai tranquillo».

Farà appello?

«Dovrei dire: aspettiamo le motivazioni. Ma schiettamente è una decisione che non condivido affatto. Dunque ...»

Ha pianto?

«Sorrido a questa domanda: no. Non sono un bambino che attendeva gratificazione, ma un magistrato che ha svolto un lavoro. Ho fatto la mia parte fino in fondo: ero e sono sereno».

Varone vuole lasciare Pescara?

«Posso guardare dritto negli occhi chiunque. Se lascerò Pescara non sarà certamente per l’esito di questo processo».

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