Tasse arretrate, stangata sui balneatori

La Corte d’Appello respinge il ricorso presentato da 20 stabilimenti e li obbliga a pagare 850 mila euro di Cosap

PESCARA. Ottocentocinquantamila euro: è questa la cifra che 20 stabilimenti balneari sul lungomare Matteotti dovranno sborsare al Comune per saldare il mancato pagamento del Canone di occupazione del suolo pubblico (Cosap) dal 2002 al 2008. L’ultimo tentativo di evitare la stangata è clamorosamente fallito alcuni giorni fa, quando la Corte d’Appello dell’Aquila ha dichiarato inammissibile il ricorso dei balneatori. E ora il Comune, che aveva in precedenza congelato l’emissione delle azioni esecutive di pagamento, dovrà agire per il recupero della tassa arretrata.

Questo è l’ennesimo capitolo di un lungo contenzioso che va avanti da circa un decennio, da quando cioè il Comune ha avviato le prime richieste di versamento della Cosap ai balneatori del lungomare Matteotti per l’occupazione dell’area prospiciente le concessioni con verande e tavolini all’aperto. Gli stabilimenti si sono sempre opposti al pagamento di questa tassa, visto che versano la stessa imposta al Demanio, effettivo proprietario dell’area pubblica.

E così scoppiata una guerra legale senza precedenti. I balneatori hanno impugnato gli avvisi di pagamento prima dinanzi al Tar e poi al Consiglio di Stato. Ma i ricorsi sono stati respinti e l’Aipa, la società di riscossione del Comune, ha dovuto procedere all’emissione delle azioni esecutive di pagamento per circa 850mila euro relativi alla tassa non pagata dal 2002 al 2008.

I balneatori, però, non si sono dati per vinti e hanno presentato un altro ricorso alla Corte d’Appello, cioè al terzo grado di giudizio. In attesa del pronunciamento dei giudici dell’Aquila, il Comune ha fatto sospendere l’esecuzione del titolo.

Ma anche l’ennesima azione legale non è andata a buon fine per i balneatori della riviera nord. La Corte d’Appello ha emesso un’ordinanza in cui si dichiara «inammissibile l’appello» e condanna gli appellanti anche al pagamento di 2mila euro ciascuno per le spese processuali. I giudici hanno spiegato così la loro decisione. «Il punto di diritto assorbente e risolutivo», si legge nell’ordinanza, «è la sussistenza della pretesa esattoriale esposta dall’ente locale con l’applicazione dell’articolo 63 del decreto legislativo 446 del 1997, norma che dispone che Province e Comuni possono provvedere per l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade e spazi appartenenti al proprio demanio patrimonio indisponibile, l’assoggettamento al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione. Canone che può essere anche previsto per l’occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio».

Ed ecco il punto saliente che dovrebbe sciogliere ogni dubbio sull’applicazione della tassa. «Il lungomare di Pescara», è scritto ancora nell’ordinanza, «strada sicuramente urbana da qualificare strada urbana di quartiere, è soggetta alla normativa Cosap, laddove nella qualificazione di “strada” non devono essere spese particolari parole per ritenere compreso nella accezione comune e dunque anche giuridica l’annesso marciapiedi».

«Ciò in maniera assorbente», avvertono i giudici, «senza ulteriormente rilevare l’esatta configurazione della questione sulla dedotta illegittimità del cumulo tra canone Cosap e canone demaniale marittimo, non ravvisandovi condivisibilmente alcuna ipotesi di duplicazione».

«Infine», conclude l’ordinanza, «anche il punto sull’applicazione di interessi e sanzioni sul recupero non appare ragionevolmente idoneo a fondare l’accoglimento dell’impugnazione».

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