Ultrà ucciso, i complici di Ciarelli negano

12 Maggio 2012

«Non eravamo sul luogo dell'agguato». Il giudice: parole senza riscontro

PESCARA. Negano tutto i 4 presunti complici di Massimo Ciarelli, i tre cugini e il nipote accusati in concorso con lui dell'omicidio di Domenico Rigante e del tentato omicidio del fratello Antonio la sera del primo maggio. Negano tutto, ma restano in carcere.

Niente più isolamento, possibilità di colloquio con i familiari, ma per tutti la misura cautelare in carcere disposta dal gip Maria Michela Di Fine dopo gli interrogatori di ieri e la convalida del fermo con cui la Mobile di Pierfrancesco Muriana li aveva portati d'urgenza in carcere la sera dell'8 maggio (fermi convalidati dal pm Salvatore Campochiaro).

Interrogatori in carcere in cui ognuno dei Ciarelli (tranne Antonio, il proprietario dell'auto dell'agguato, che non ha risposto) ha fornito l'alibi di quella sera per dimostrare la propria estraneità all'agguato mortale di via Polacchi. L'agguato per cui il 29enne Massimo Ciarelli, in fuga per 4 giorni, dal 5 maggio è rinchiuso nel carcere di Vasto come esecutore dell'omicidio dell'ultrà di 24 anni.

MOGLIE IN OSPEDALE. Luigi Ciarelli, 24 anni, è il fratello dei gemelli Antonio e Angelo ed è cugino di Massimo Ciarelli. È lui, oltre a Massimo, quello che, secondo l'accusa, entra armato nell'appartamento di via Polacchi dove il commando rom scatena l'inferno prima di ammazzare Rigante. È sempre Luigi che malmena con il casco l'ultrà dopo che Massimo gli ha già sparato. A inchiodarlo ci sono tre testimoni, oltre a quelli che lo indicano come colui che insieme al nipote Domenico arriva in piazza dei Grue in sella a uno scooterone scuro. Difeso dagli avvocati Marco Di Giulio e Francesco Valentini, Luigi Ciarelli ieri mattina ha negato tutto, riferendo di essere stato dalla moglie in ospedale dalle 19,30 alle 21,30. L'agguato in via Polacchi scatta alle 21,45 ma Luigi, negando anche la sua entrata in scena in piazza dei Grue con lo scooterone, dice: «Non avevo né la macchina né la moto, dall'ospedale mi ha riaccompagnato a casa un amico, avevo mio figlio di due anni con me. Da quel momento sono rimasto nell'appartamento dove sono domiciliato, non in via Caduti per Servizio, ma a Rancitelli, fino al giorno dopo».

LA CRISI MISTICA. Domenico (24 anni) è il nipote di Massimo Ciarelli, in quanto figlio del fratello Carmine morto in una sparatoria vent'anni fa. Secondo l'accusa, Domenico (difeso dall'avvocato Luca Sarodi come i due gemelli Antonio e Domenico) arriva sulla scena del crimine in sella allo scooterone nero con Luigi prima di piombare con tutti gli altri nell'appartamento di via Polacchi. Accuse che Domenico nega quasi dissociandosi dalla famiglia Ciarelli, sostenendo che non vive più con loro, che frequenta una ragazza e che ha deciso di cambiare vita. «Ho iniziato un cammino di fede, ho fatto la comunione proprio pochi giorni fa», dice al gip, «frequento la comunità neocatecumenale, voglio bene alla mia famiglia ma sto cercando di inserirmi nella società». Quanto al primo maggio, Domenico riferisce di essere andato a trovare la nonna (la mamma di Massimo Ciarelli) e puntualizza di non avere lo scooterone dopo un incidente fatto a giugno: «Non sono scappato, quella sera ero a casa», zona ospedale.

UN ATTIMO AL NIGHT. Angelo Ciarelli (23 anni) secondo l'accusa è quello che guida la Cinquecento Abarth con cui Massimo e l'altro gemello Antonio, più un quarto Ciarelli attualmente solo indagato, si mettono a caccia dei gemelloni e li trovano in piazza dei Grue. Secondo la testimonianza della ballerina romena che Massimo va a prendere subito dopo l'omicidio in un night della costa, sarebbe uno dei due gemelli quello che accompagna Massimo a prenderla con una monovolume chiara. Ma Angelo dice al gip: «Quella sera sono stato in giro e sono passato un attimo anche al night dove ho salutato mio cugino». Stop.

RESTANO DENTRO. Per il gip Maria Michela Di Fine «le loro dichiarazioni non sono solo incompatibili con le emergenze investigative, ma altresì prive di qualsivoglia riscontro». Di qui l'applicazione della misura cautelare in carcere «in quanto sussiste il pericolo di fuga, essendosi tutti (con la sola eccezione di Antonio Ciarelli) resi irreperibili la notte del fatto e poi allentando le precauzioni in coincidenza dello spostamento dell'attenzione degli inquirenti inizialmente convogliata verso la cattura di Massimo Ciarelli e conseguentemente essendo pronti a far perdere le loro tracce anche con l'ausilio del nucleo familiare».
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