Francesca Battista, un'abruzzese a Vienna

CORONAVIRUS / VITA ALL'ESTERO

Un’abruzzese a Vienna: tra famiglia e studi sogno la mia Francavilla 

Laureata alla d’Annunzio, si occupa di epistolografia al femminile: «Mi preoccupa non sapere quando potrò rivedere i parenti in Italia»

VIENNA. «Cervello in fuga? Macché: io sono di Francavilla al Mare». Dopo la laurea in Lettere e il dottorato alla D'Annunzio, da dieci anni è in giro per l'Europa. Neanche il coronavirus ha rimesso in discussione la sua scelta di vivere all'estero. Francesca Battista, ricercatrice universitaria, studiosa di epistolografia al femminile, è una pescarese cresciuta a Francavilla. Quarantenne, dopo la laurea e il dottorato alla facoltà di Lettere e Filosofia all'università Gabriele d'Annunzio, dieci anni fa ha lasciato l'Italia per Praga e Budapest. Da cinque è a Vienna, dove si trovava anche quando è scoppiata l'emergenza coronavirus, con il marito, abruzzese doc come lei, e il loro bambino di tre anni.
Come stanno i parenti in Italia?
Tutti bene, per fortuna. Mio figlio parla quotidianamente con nonni e zii tramite videochiamata. Le comunicazioni virtuali non possono sostituire i contatti fisici e personali, ma aiutano almeno a mantenere vivi i rapporti. Mi preoccupa soprattutto non sapere quando potrò rivederli: al momento, si paventa la possibilità di una riapertura in estate delle frontiere austriache solo con la Germania e la Repubblica Ceca, non con l'Italia.
Facendo un passo indietro, dove ha studiato?
Al Classico di Pescara, ma fin da bambina sognavo uno stile di vita avventuroso: a dieci anni desideravo diventare un'inviata speciale. Poi ho abbandonato l'idea del giornalismo, ma la passione per il viaggio è rimasta.
Condivideva questa passione con qualcuno in famiglia?
Sì, ne parlavo spesso con mio nonno, che da giovane era emigrato in Venezuela. Inoltre, con uno studente di origine libanese che si è spesso preso cura di me e mia sorella quando eravamo piccole. Ci ha insegnato diverse canzoni in arabo. Le ricordo ancora adesso: per noi è stato una specie di fratello maggiore.
Da dove viene suo marito?
Da Roseto. Ci conosciamo dai tempi dell'università: lui studiava filosofia. Ci ha presentati un comune amico, che ci vedeva bene come coppia, poi è stato il nostro testimone di nozze.
Dove vi siete sposati?
A Budapest, nel 2011: è stato un matrimonio bellissimo, sono venuti in tanti dall'Italia. Stavo svolgendo il mio secondo progetto di ricerca di quattro mesi, dopo il primo a Praga di sei.
Che cosa riguardavano le sue ricerche?
Sono entrambe conseguenza della mia passione per gli studi medievali che ho recuperato durante il dottorato alla D'Annunzio, dopo una tesi di laurea dedicata invece a un autore contemporaneo. Mentre finivo il dottorato a Chieti, ho presentato la mia candidatura per una borsa di ricerca per l'Università Carolina di Praga, dove ho studiato, per circa quattro anni, la collezione di lettere della regina Cunegonda, seconda moglie di Ottocaro II di Boemia: volevo dimostrare che poteva essere considerata un modello per un approccio diverso alla storia delle donne. Inizialmente ero partita dalle lettere della regina al marito, ma poi ho allargato le mie ricerche alle altre lettere che avevano per mittente o destinataria le donne di vari ceti sociali e ambienti, laici o religiosi. Per esempio, ho analizzato le lettere che le mamme scrivevano ai figli maschi in giro per l'Europa per motivi di studio. Scrivevano alle madri per chiedere denaro quando ne avevano bisogno, il che dimostra che erano proprio le donne a tenere i cordoni della borsa.
Qualche riconoscimento?
Sì: a marzo mi hanno nominato membro della commissione di un importante premio indetto da "Parergon", la rivista di studi medievali che ha sede in Australia.
È a Vienna perché?
Qui mi hanno finanziato la prima parte del mio progetto di epistolografia femminile europea. Ora sto per partire con la seconda.
Si sente un cervello in fuga?
Ora non più. Quando sono partita, invece, sì. Perché se è vero che ho sempre amato il viaggio e l'avventura, è altrettanto vero che dieci anni fa ho scelto di lasciare l'Italia per motivi di lavoro. Con il tempo, però, finisci per diventare cittadino del mondo.
Tornerebbe in Italia?
Senza un contratto di ricerca a tempo indeterminato, no.


Neanche il coronavirus le ha fatto cambiare idea?
No, al momento non penso di mettere in discussione la mia permanenza all'estero, nemmeno in un prossimo futuro. Anche perché avrei bisogno di condizioni serie di lavoro anche per mio marito. Ormai da dieci anni lavora nella ristorazione. È un cuoco professionista: mentre io ero a Praga, lui frequentava a Torino la Ifse (Italian Food Style Education), un'importante scuola di cucina.
Un cuoco filosofo: quanto ha contato la sua presenza nella sua scelta di vivere all'estero?
E' stata fondamentale: senza il suo supporto, la nostra speciale complicità e desiderio comune di esplorare il mondo non ce l'avrei fatta, e d'altra parte anche la mia famiglia mi ha aiutato tantissimo. I miei genitori hanno sempre rappresentato un punto di riferimento imprescindibile nella mia vita.
Si sente diversa da quando è mamma?
Sì: adesso cerco maggiore stabilità e anche se voglio realizzare tutti i miei progetti, ora è mio figlio al primo posto. E anche per mio marito è così.
Si sente ancora italiana, anzi abruzzese?
Sì, certo: come potrei rinnegare le mie origini abruzzesi e in particolare il mio legame con Francavilla.
Dove si vede di qui a 10 anni?
Sinceramente, non lo so. La vita, d’altronde, finisce sempre con l’impacchettare nuove sorprese. Però posso prevedere dove sarò da anziana. Mi immagino a Francavilla, con mio marito, mio figlio, mia sorella, la mia nipotina.
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