Braida: io, il Barcellona, Verratti e 27 anni di Milan 

Il consulente del Barcellona in vacanza con la famiglia a Fossacesia: «Neymar al Psg una sorpresa. Il mercato? I soldi ormai non hanno più valore»

FOSSACESIA. Lo vedi passeggiare sul lungomare di Fossacesia come un turista qualunque. O sotto l’ombrellone a leggere il giornale. Affabile e socievole. In pochi lo riconoscono, malgrado il suo telefonino squilli con una frequenza superiore alla media, ma lui è Ariedo Braida, uno dei protagonisti dell’epopea berlusconiana del Milan. E’ stato il dg rossonero per quasi 27 anni, fino al dicembre del 2013. L’uomo mercato che, nel tempo, ha portato al Milan fior di campioni. Poco appariscente, ma efficace in sede di mercato. Finita l’esperienza a Milano ha cambiato. Di bene in meglio, perché oggi, a 71 anni, il dirigente di origine friulana, è il consulente del Barcellona. E’ uno dei collaboratori del presidente Bartomeu. E questa è stata un’estate piuttosto travagliata per via del trasferimento di Neymar dalla Catalogna al Paris Santin Germain. L’ha vissuta tra Barcellona, Milano e... Fossacesia dove la famiglia ha trascorso alcune settimane di vacanza. E nella settimana che porta a Spagna-Italia Braida dice la sua, così come per Barcellona-Juventus di Champions in programma il 12 settembre. Lo fa senza proclami, ma con la saggezza e la pacatezza di chi conosce il calcio e ha esperienza da vendere. Ecco l'intervista

Ariedo Braida, che cosa ci fa a Fossacesia?
«Relax, mare con la famiglia».
Come mai in Abruzzo?
«Perché mia moglie è originaria di Castelfrentano e in estate portiamo i bimbi dai parenti».
I suoi legami con l’Abruzzo?
«Al di là di quelli sentimentali e familiari nessuno. Se non il ricordo di quello che mi diceva mio padre: “Gli abruzzesi sono un popolo di lavoratori”. Confermo».
Lei è consulente del Barcellona.
«Metto a disposizione la mia esperienza».
Barcellona, més que un club?
«Confermo, più che un club. E’ una società fantastica, grandissima. La vivi in ogni dove, dagli uffici al campo. Trasmette uno straordinario senso di appartenenza», dice battendosi la mano sul petto. «E io sono orgoglioso di essere un italiano in uno dei club migliori al mondo».
Dopo 27 anni di Milan è caduto bene…
«In effetti, sto vivendo una bella esperienza».
Di preciso che cosa fa?
«Il Barcellona è una società in cui il presidente è eletto dai soci, ovvero dai tifosi. E’ come se fosse l’elezione del sindaco che poi si avvale degli assessori per governare. Io sono uno degli assessori».
E’ stata l’estate di Neymar al Psg?
«E’ stata un’operazione che ha sorpreso anche noi. Però, le scelte vanno rispettate, sempre. E Neymar ne ha fatta una che ha caratterizzato l’estate».
Perché?
«A Barcellona la stella è Messi. Può darsi che Neymar volesse diventare una stella e ha scelto il Psg per togliersi dall’ombra di Messi. E’ un’ipotesi…».
222 milioni di euro.
«E’ folle, lo so. Sembra che i soldi non abbiano più valore. Ne arrivano talmente tanti… Giungono dai paesi in espansione, arabi e asiatici».
Perché?
«Perché il calcio è popolare. E’ un veicolo pubblicitario. Puoi essere un grande imprenditore, ma se non fai calcio non sei famoso. E se vuoi diventarlo devi entrare nel mondo del pallone».
Barcellona-Verratti, che cosa è accaduto in estate prima del contropiede Psg?
«Verratti è un giocatore di prima fascia che non può non far gola a un club di prima fascia come il Barcellona».
Differenze tra il calcio spagnolo e quello italiano?
«Due culture diverse, la stessa passione. In Italia il risultato viene prima di tutto, condiziona i giudizi. In Spagna il risultato va cercato attraverso il gioco. Gli spagnoli vogliono vedere giocare bene al calcio».
In Italia è arrivato il Var, in Spagna no.
«E’ una novità. Secondo me, aiuta gli arbitri. Però, bisogna abituarcisi. Si migliora sempre con il tempo, però il calcio è sempre lo stesso, magari più veloce, ma pur sempre fatto con un pallone, undici calciatori e le porte. Cambiano i dettagli, ma la sostanza no».
Sabato ci sarà Spagna-Italia a Madrid.
«E sarà una bella partita. Parliamo del top. Sono due nazioni che hanno fatto la storia del calcio».
Pronostico?
«Alto livello, decideranno i dettagli».
Ha visto il nuovo Milan dei cinesi?
«Mi sembra che sia sulla strada buona. Ha fatto delle scelte giuste».
Oltre 200 milioni spesi in una sessione di mercato, nemmeno Berlusconi l’ha fatto.
«Cambia il mercato e cambiano i contesti. Ripeto: sembra che i soldi non abbiano più valore».
E il 12 settembre ci sarà Barcellona-Juventus in Champions.
«Anche questo è il top. Non capisco chi sbeffeggia la Juve per le due finali perse in tre anni. Ragazzi, quelli sono grandi traguardi. Le puoi perdere le finali, ma ci devi arrivare. E non è facile. E poi sei scudetti di fila, le coppe Italia… Ragazzi, tanto di cappello alla dirigenza della Juve. E a Barcellona sarà sicuramente spettacolo!».
Trenta anni fa iniziò l’epopea di Sacchi al Milan.
«L’Arrigo è l’Arrigo. Ricordo come se fosse oggi quando stava andando a firmare alla Fiorentina. Mi avvertì il mio amico Riccardo Sogliano, con il quale avevo giocato insieme a Varese. Sapevo che Sacchi piaceva al presidente. E così avvertii Galliani. Che chiamò Berlusconi e poi mi richiamò. Lo bloccai e mi ricordo che raggiungemmo l’accordo per il Milan al casello di Lambrate».
Immaginava 30 anni che il ciclo di Berlusconi potesse essere così glorioso?
«Il presidente è un grande motivatore. Ti dà la carica come pochi. E 30 anni fa non pensavo a che cosa si potesse realizzare, ma a lavorare per rendere grande il Milan».
Poi, nel 2013, il divorzio.
«Come nei film, arriva sempre la fine. La scritta The End. Giusto così dopo quasi 27 anni. Io sarò sempre grato al Milan».
Tanti anni con Galliani.
«L’ho conosciuto nel Monza, lui dirigente e io giocatore. Ero un giocatore atipico, mi piaceva frequentare i dirigenti che erano sempre imprenditori di successo da cui poter imparare qualcosa. Adriano è innamorato del calcio, non potendo giocare ha scelto di essere protagonista diventando un grande manager».
Domandona finale: Messi resterà al Barcellona o andrà via?
«Messi è Messi. Non ci sono aggettivi per lui. Lui è il Barcellona. E sta bene in città, quella che è diventata la sua città. Perché dovrebbe andare via?».
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