PALLA AL CENTRO

Campionati da chiudere: decida il governo 

Giocare. L’unica via è quella di tornare in campo. Almeno in serie A e B. Il governo deciderà come e quando in base ai consigli della scienza e all’evolversi dell’emergenza sanitaria.
Ma giocare è l’unico modo per non decretare la fine del calcio e dare il via a una serie di contenziosi dagli effetti imprevedibili. Inimmaginabile fare come in Francia con verdetti stabiliti in base alla classifica maturata al momento dello stop a marzo. Ricorsi e contro-ricorsi paralizzerebbero il sistema, perché ci sono in ballo tanti soldi. Molti. E ognuno cerca di tutelare i propri interessi. Finora, ogni opinione espressa dai dirigenti è legata alla posizione di classifica della propria squadra. Anche i calciatori fanno capire di voler giocare, perché temono di perdere tanti soldi e hanno anche l’interesse a tutelare i colleghi dilettanti. Ed eccoci al nodo. I presidenti chiedono ai calciatori un taglio agli stipendi, anche se si dovesse tornare in campo. Al tempo stesso, però, ordinano alle televisioni, che hanno acquisito i diritti, di pagare la sesta rata di questa stagione. Ovvero di rispettare gli accordi sottoscritti. Anche se non si è giocato e non si conoscono le prospettive. Il cane che si morde la coda. Le televisioni senza calcio giocato vivono alla giornata: di certo perdono una parte degli introiti pubblicitari e comunque proseguono l’attività grazie agli abbonati che continuano a pagare la tariffa mensile anche se di calcio giocato non c’è ombra e si va avanti a suon di repliche dei bei tempi che furono.
Non resta che giocare, come e quando lo decideranno governo e comitato tecnico scientifico: a giugno, luglio o agosto non importa. Perché lo Stato, al contrario di quanto paventato dal ministro Spadafora, non può permettersi il lusso di pagare anche i danni di una chiusura anticipata e definitiva del calcio. Immaginate il governo, che fa fatica a liquidare la cassa integrazione ai lavoratori, stanziare centinaia di milioni di euro per i calciatori professionisti? No, non esiste, siamo seri. Anche perché sarà bene mettersi in testa che con il virus bisognerà convivere. Abbassando il rischio di contagio, certo, ma sapendo che non lo si potrà cancellare fino a quando non verrà trovato un vaccino.
Gli altri sport. Poi, una parentesi va aperta sulla credibilità della scienza o di parte di essa. Ad ognuno il suo mestiere, per carità. No ai tuttologi, oggi più che mai, ma che credibilità può avere uno studio (del Politecnico di Torino) commissionato dal Coni che indica nella pallavolo la disciplina sportiva più a rischio di Covid-19?
Come può il presidente del Coni, Giovanni Malagò, consegnarlo al Governo senza cancellare una bestemmia del genere? Nella pallavolo c’è una rete che divide le squadre, come può essere più a rischio di altri sport in cui è previsto il contatto fisico? Ad esempio del rugby in cui sono previste le mischie per non parlare di calcio basket e lotta libera. Servirebbero buonsenso e competenza. C’è bisogno che ognuno faccia un passo indietro, cercando di essere tutti costruttivi. E pensando che con il virus bisognerà convivere. Ovvero, utilizzando lo stesso metro di paragone adottato per le altre attività produttive del Paese. Come può il Governo dire no ai club che pagherebbero di tasca propria per giocare nelle migliori condizioni possibili a giugno e, al tempo stesso, immaginare che lo sport di base e, quindi, i dilettanti – messi in ginocchio dalla crisi - possano ripartire con le stesse garanzie igienico-sanitarie a settembre? Va rivisto tutto il sistema sportivo al tempo del coronavirus. Basket, rugby e pallavolo, ad esempio, come faranno a ripartire a porte chiuse? E l’attività di base?
Le prescrizioni del Governo e del comitato tecnico scientifico - ad esempio la sanificazione degli ambienti - rischiano di diventare insopportabili per chi non avrà i soldi per mettersi in sicurezza. Ammesso che esista una certezza nella lotta al virus, alternativa all’isolamento.
@roccocoletti1.

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