La panchina di Grosso: a Sassuolo cerca un’altra promozione

Il pescarese guida la capolista della Serie B e ha la possibilità di stabilire il record di punti tra i cadetti. Dai ricordi della Renato Curi al sangue in Francia
«Mi metto in gioco per capire i miei limiti». Attorno a questa frase c’è il senso della seconda vita di Fabio Grosso. Prima calciatore, ora allenatore. Condottiero del Sassuolo capolista della serie B con l’obiettivo di emulare le gesta di un altro pescarese, Eusebio Di Francesco, che per la prima volta ha portato i neroverdi in serie A. A distanza di anni ci prova il campione del mondo del 2006 cresciuto all’antistadio di Pescara. Che da bambino prendeva il calcio come un gioco e un divertimento e ora ne fa materia di studio. Lo prende terribilmente sul serio. A 47 anni è in rampa di lancio verso la seconda promozione in serie A dopo quella di due anni fa a Frosinone. Una promozione programmata, ma non per questo scontata. Organico forte, obiettivo serie A, ma vincere non è mai facile. E Grosso lo sta facendo senza patemi d’animo.
Il cammino. Una partenza stentata (8 punti in cinque partite), condita dall’unica sconfitta casalinga il 31 agosto scorso contro la Cremonese. Poi, il decollo complice il ritorno di Domenico Berardi e la maturazione dei giovani. Undici vittorie di fila in casa al Mapei Stadium, a Reggio Emilia, prima del pari contro il Bari. Sassuolo con uno spiccato senso del gol, ne ha realizzati 62, 12 in più del Pisa secondo in classifica. Mancano otto gare alla fine e con 69 punti in classifica punta al record (86) del Benevento di Inzaghi (2019-2020). «Io non inseguo i record, che sono solo una conseguenza. E sono meglio oggi di quando ero giocatore», ha detto a chi gli faceva notare l’opportunità di entrare nella storia della serie B. È in serie positiva da sette partite e non perde dal 24 gennaio scorso quando Grosso è stato battuto da un altro pescarese, Luca D’Angelo alla guida dello Spezia. In estate, il Sassuolo ha vincolato Fabio Grosso con un biennale con opzione del terzo. Fiducia totale nel pescarese trapiantato a Torino destinato a guidare gli emiliani anche in A a meno che il valzer delle panchine non coinvolga anche l’eroe di Berlino 2006. Fabio Grosso non vive a Sassuolo, abita in zona. Dedica gran parte delle sue giornate alla vita all’interno del centro sportivo, tra allenamenti, video e altro ancora.
Mai sopra le righe. A Pescara conserva legami, affetti e parenti. Legami stretti anche con i compagni di squadra del Chieti con i quali ha conquistato la promozione in C1 nel 2001. Ma il calcio è il suo chiodo fisso, perché - non ha problemi a dirlo - è un ambizioso. Non è tipo da polemiche, mai sopra le righe. Da calciatore e da allenatore è difficile ricordare una sbandata verbale. Tanto per rendere l’idea del personaggio, ecco che cosa ha detto alcune settimane fa: «Le motivazioni fanno la differenza. E la fatica restituisce sempre qualcosa. Ho martellato subito la squadra su come affrontare allenamenti e partite, qualcuno era abbattuto, ma era una sfida che mi piaceva e abbiamo creato la nostra identità».
Il cambio di mentalità. C’è un aneddoto che rende l’idea della trasformazione a livello mentale e risale ai tempi del Renato Curi: «Ero molto giovane», ha raccontato a distanza di anni, «alla vigilia della nostra prima partita in serie D, il mio allenatore chiamò i giocatori più rilevanti la sera prima della gara per le ultime informazioni. Quando chiamò a casa mia, però, non mi trovò. Ero fuori con i miei amici, vivevo tutto come un gioco, studiavo ancora. Mi sentivo ancora dilettante. Ma la sua fiducia era tanta. Mi chiamò mia madre per dirmi della telefonata. Era delusa anche lei. Il giorno dopo ci fu una riunione per parlare dell’accaduto, della delusione che avevo dato al mister. In partita feci tripletta e vincemmo 6-2, da quel giorno sono diventato un professionista».
La carriera in panchina. Da lì una mutazione genetica che cerca di perfezionare con il lavoro e con lo studio. Con l’esperienza accumulata in panchina: dalle giovanili della Juventus alla prima avventura in serie B a Bari. Poi la delusione di Verona dove era stato chiamato dall’amico Tony D’Amico. Poi, Brescia e la Svizzera a Sion. Fino alla ripartenza da Frosinone, estate 2021, chiamato da Guido Angelozzi: la promozione e poi l’addio, vuoi perché il club ciociaro non era in grado di garantire i rinforzi necessari (tant’è che poi è retrocesso) vuoi perché era attratto da sirene che poi non si sono concretizzate. E allora aspetta. Il 16 settembre 2023 torna, nelle vesti di allenatore, all'Olympique Lione, sostituendo Laurent Blanc e con la squadra in quel momento all'ultimo posto della Ligue 1. Lì un’esperienza che ha lasciato il segno. Prima di una gara contro il Marsiglia è stato colpito da una sassata da parte dei tifosi del Lione, in protesta contro il club: «Ti rendi conto di quanto sei fragile», ha raccontatto, «una brutta giornata. Lione è un posto che adoro, ho ritrovato persone belle. Non cambierei la scelta che ho fatto, come altre un po’ kamikaze, ma sono così, lascio i posti senza rabbia e con la consapevolezza che serva tempo per fare le cose bene. Quella sassata mi ha quasi colpito l’occhio, ho mosso il viso poco prima. Ho sentito un grande rumore, sono andato a terra. Avevo il volto pieno di sangue e mi sono ritrovato in ospedale».
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