Pepe: «Io, la Juve e Pescara: riparto da dirigente»

L'attaccante si racconta: Conte un maestro, vorrei diventare un ds e restare in questa terra che mi ha conquistato

PESCARA. Cinque anni non si dimenticano. Pescara-Juventus è la sua partita, anche se Simone Pepe dovrà vederla dalla tribuna dell’Adriatico-Cornacchia. L’attaccante romano è il grande ex della sfida. In bianconero dal 2010 al 2015 e tanti trofei in bacheca. La carica e la voglia ci sono, ma i tanti infortuni lo stanno costringendo a lasciare il calcio giocato. A fine stagione appenderà gli scarpini e diventerà ufficialmente il club manager del Pescara. Ama la città, ha deciso di rimanerci a vivere e vuole aprire un nuovo ciclo, da dirigente, in Abruzzo. La terra che lo ha lanciato nel grande calcio, dopo l’annata nel Teramo, nel 2002.

Simone Pepe, quella di sabato è la sua partita. È rimasto nel cuore dei tifosi della Juve. Perché?
«È un motivo d'orgoglio. Forse perché rivedono in me lo spirito Juve. Io non mollo e do sempre tutto in campo. La Juve è nata con la vittoria nel sangue, come me»
Perché è stato ribattezzato "er chiacchiera"?
«Non si capisce? (ride, ndr) Non sto zitto un secondo. Nello spogliatoio ero un “cazzarone"».
L’allenatore che poco tollerava questo suo "vizio"?
«Conte, alla Juventus. Mi diceva che fuori dal campo potevo dire quello che volevo, ma quando si lavora in allenamento massimo silenzio. Io invece rompevo e scherzavo con tutti anche durante lo stretching».
Alla Juve ha avuto Delneri, Conte e poi Allegri. Cosa è cambiato in questo lustro?
«Il primo anno siamo arrivati settimi, un disastro per la Juve. Ma ho sempre dato tutto per una squadra che due anni prima scendeva in campo con Zambrotta, Thuram, Nedved, Camoranesi, Ibra, Cannavaro e Trezeguet, giusto per fare qualche nome. C'era un po' di diffidenza dopo la rifondazione e l'anno seguente, con Antonio Conte, è iniziato un ciclo. Conte ci ha dato una grande impronta e ha valorizzato tanti giocatori».
Che pensa di Conte?
«L'allenatore più forte che ho avuto. È stato il mio maestro. Sa come si parla ai giocatori, sa come si tira fuori il massimo e tatticamente ti spiega tutto nel dettaglio. Lui è allenatore, preparatore atletico e psicologo».
E Max Allegri?
«È arrivato alla Juve nel momento giusto. Quella squadra aveva bisogno di lui. Allegri è meno severo di Conte, ma è stato bravissimo a gestire la squadra. Ha portato le sue idee ed è stato molto intelligente a saper toccare le corde giuste».
La partita indelebile?
«Juve-Parma. Era la prima di campionato, nel 2011. La prima gara ufficiale allo Stadium. Vincemmo 4-1. Una partita che Conte aveva caricato a mille. Quello fu l'inizio di un ciclo. Eravamo una macchina da guerra».
I suoi amici nella Juve?
«Bonucci, Chiellini, Barzagli, Tevez, Storari. Con Chiellini siamo amici di famiglia. Siamo molto legati. Quando mi hanno operato a Pavia, a causa dell’infortunio muscolare, Storari è stato il primo ad arrivare in clinica. Era dietro la porta della sala operatoria. Chiellini, poi, è stato molto vicino alla mia famiglia durante la nascita del mio secondo figlio, ma anche Bonucci è super come persona. Ci sentiamo spesso, siamo molto legati».
Quanta Juventus c'è nei tuoi tatuaggi?
«Parecchia. Ci sono le date degli scudetti. Ho le braccia piene di tatuaggi. Rappresentano la mia vita: figli, hobby, il golf, il fungo di SuperMario. Ero fissato col videogioco Supermario».
Tante città girate per lavoro, ma lei è partito da Teramo e sta chiudendo la carriera a Pescara. L'Abruzzo nel destino?
«Sono legato a questa terra. Teramo mi ha dato tanto. Ricordo il presidente Malavolta che mi volle a tutti i costi. Esperienza straordinaria, che mi ha fatto crescere come uomo e calciatore. Arrivavo dall'erba di Trigoria e sono finito sul campo di terra battuta di Colleatterrato. Annata stupenda e che ridere quei viaggi in pulmino per arrivare al campo d’allenamento con Moris Carrozzieri e Leo Rastelli (storico magazzinerie, ndr) alla guida. Di recente ho rivisto tanti miei ex compagni come Molinari, De Angelis e Faieta».
In pochi mesi si è innamorato di Pescara. Perché?
«È una città che ha tutto. Mare e montagna ed è a misura d'uomo. Si mangia bene. Non capisco chi la snobba. Anche d'inverno si sta benissimo. La mia base è a Roma, ma rimango volentieri qui a lavorare perché si sta benissimo».
Farà il club “club manager”. Vero?
«Sì. Al calcio giocato probabilmente non posso dare più nulla, mi piacerebbe dare il mio contributo in altri ambiti. Mi metterò alla prova. Posso imparare dal direttore sportivo. Il club manager è una figura di raccordo tra la squadra e la società, poi vivi accanto al direttore sportivo un mestiere che mi piacerebbe fare».
Di Zeman che cosa dice?
«Mi ha colpito la serenità e poi non ha peli sulla lingua. E’ un grande maestro di calcio. Ha delle idee che non ha nessuno. E' l'uomo giusto per ripartire».
Con Oddo che cosa non ha funzionato?
«Ha pagato solo per i risultati. La cultura del calcio italiano purtroppo è legata ai risultati».
Senza il calcio che cosa avrebbe fatto?
«Il benzinaio. Da ragazzino volevo fare quel mestiere perché vedevo sempre i benzinai con il portafogli pieno…».
Un pronostico su Pescara-Juventus?
«La domanda di riserva non c'è? Nulla è impossibile nel calcio. Giochiamo contro una squadra fortissima. Anche Crotone-Inter sulla carta era una partita senza storia… Questa Juve, però, è più forte rispetto alla mia. Secondo me, in Champions, può arrivare fino in fondo. La Juventus ha una marcia in più per quanto riguarda la mentalità».
Chi sono stati i compagni più forti?
«Pirlo e Buffon»
L’avversario più duro?
«Vargas della Fiorentina, ma anche Maxwell quando era all’Inter».
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