Annega a 14 anni nel laghetto artificiale

Muore davanti a tre amici. Lo strazio del padre: «Ve l’avevo detto di non venire qui».

TERAMO. «Correte, presto. Lorenzo si è buttato, non torna su». La voce che chiama il 118 è quella di un ragazzino. Sconvolto, disperato. Ha appena visto un amico annaspare e poi sparire nell’acqua opaca, incolore, di un vascone adibito a serbatoio del Consorzio per lo sviluppo industriale. Lorenzo Di Patrizio, 14 anni, viene ripescato poco dopo da due vigili del fuoco, che si spogliano e si tuffano nel vascone. Ma gli operatori del 118 non possono che chiudergli gli occhi e coprirlo con un telo. Lorenzo è morto annegato. Per una caduta accidentale, probabilmente. Un’avventura, una piccola trasgressione da ragazzi, finita male. Era vestito e aveva il cellulare in tasca: molto difficile pensare che si sia buttato in acqua. Però la versione dei ragazzi che erano con lui è proprio questa. «Si è buttato lui», dicono, e lo ripetono anche a sera in questura. La polizia ce li porta, compito ingrato, per chiarire la verità su una tragedia nella quale, comunque sia andata, non può esserci nulla di doloso.

I QUATTRO AMICI. Il dramma si consuma all’estrema periferia est di Teramo intorno alle 18. Fa caldo, e al campo di calcetto di Villa Pavone dove i ragazzi del quartiere vanno a giocare non c’è tanta voglia di sudare dietro a un pallone. «Andiamo a fare il bagno ai vasconi», dice qualcuno del gruppo. In quattro partono con le biciclette verso contrada Carapollo, sull’altra sponda del Tordino. I vasconi del Consorzio sono qui, all’altezza dello svincolo della Teramo-mare. Recintati, ovviamente. Ma è una recinzione che potrebbe scavalcare chiunque. Uno dei paletti in cemento che la compongono, tra l’altro, è rotto. È da lì che il quartetto, lasciate le bici sul ciglio della strada, entra nell’area privata. Incustodita e, pare, molto frequentata: da tempo nell’acqua sguazzano pesci d’acqua dolce e i vasconi vengono utilizzati per pescare.

MINUTI FATALI. Uno dei vasconi, quello centrale, non ha i bordi a picco come gli altri. Vi si può entrare camminando, grazie a uno scivolo. È qui che i ragazzi si fermano con i piedi a mollo, è da qui che Lorenzo cade in acqua. Un’acqua profonda quattro metri. I compagni lo vedono annaspare, uno di loro (l’unico che sappia nuotare, a quanto pare) prova ad aiutarlo. Non ce la fa. Lorenzo va sotto, non riemerge. Allora i tre chiedono aiuto a un ragazzo più grande che sta pescando in un altro vascone insieme alla ragazza. Il giovane si tuffa, cerca il corpo di Lorenzo, non lo trova. Qui scatta la telefonata al 118 che attiva i soccorsi, ma è troppo tardi. LO STRAZIO. A Carapollo arriva la polizia e fuori dai cancelli del serbatoio ben presto si forma una piccola folla. Il medico legale Pino Sciarra ispeziona il corpo.

Non ci sono ferite o altre lesioni apparenti e il pm di turno Bruno Auriemma, d’accordo con la pm del tribunale dei minorenni Antonella Picardi, decide che non è il caso di fare l’autopsia. C’è il nulla osta per la sepoltura: domani il funerale. Mentre i tre amici della vittima, attesi dai genitori, vengono tenuti dentro (separati) e interrogati una prima volta, arriva il padre di Lorenzo. Sandro Di Patrizio, dipendente dell’acquedotto, corre e inveisce («L’avevo detto a tutti che non ci dovevano venire, qui», urla in dialetto). È uno strazio vederlo chinarsi sul corpo del suo ragazzo. Lorenzo era il terzo dei figli di Sandro e Rossella.

Una famiglia conosciutissima a Villa Pavone. Sandro, tra l’altro, è cugino carnale dei Di Patrizio imprenditori, Antonio della concessionaria Bmw e Gianni della Paper’s World. Lorenzo aveva appena superato gli esami di terza media alla scuola D’Alessandro. Si sarebbe iscritto all’Ipsia, l’istituto professionale. Un ragazzo solare, vivace, con la passione per la bicicletta. Che se n’è andato troppo presto, in quattro metri d’acqua scura, per una piccola avventura sbagliata.