Assalto alle case dei rom ad Alba Adriatica, tutti assolti

Per i giudici i quattro finiti a processo per devastazione e saccheggio dopo il delitto Fadani non hanno commesso il fatto

TERAMO. I sassi contro le case dei rom, i vetri delle finestre in frantumi, le macchine rovesciate: chi nei giorni dell’omicidio dell’imprenditore Emanuele Fadani era ad Alba Adriatica li ha visti, li ha raccontati nelle cronache di quei drammatici momenti di rivolta contro i nomadi accusati del delitto.

Ma nelle aule giudiziarie i fatti vanno sempre provati. Perchè quando non lo sono tutto il resto non serve. E da questo assunto bisogna partire per raccontare dell'assoluzione in primo grado dei quattro cittadini albensi finiti a processo con la pesante accusa di devastazione e saccheggio, giunti davanti ai giudici con una imputazione coatta dopo una prima richiesta di archiviazione della procura. Che ieri (pm d’udienza Greta Aloisi) ha chiesto 3 anni ed 8 mesi per ciascuno.

I giudici hanno assolto Andrea Roncacè, Domenico Piccioni, Stefano Caravelli e Maria Letizia Esposito per non aver commesso il fatto al termine di un processo in cui una cittadina rom si era costituita parte civile.

Per capire i perchè della decisione bisognerà aspettare di leggere le motivazioni, ma è evidente che l'assenza di prove su cui fondare un giudizio di responsabilità ha fatto da filo conduttore al procedere dei giudici del collegio (presidente Giovanni Cirillo, a latere Carlo Saverio Ferraro e Enrico Pompei). Perchè gli atti formali di individuazione non ci sono stati per provare delle responsabilità in un’aula di tribunale. Nè nelle indagini preliminari, nè nell'istruttoria dibattimentale.

E nemmeno alcune foto prodotte dalla pubblica accusa ed entrate nel fascicolo processuale solo al termine dell'istruttoria sono servite a fare chiarezza. Su questo, sull'assenza di prove anche indiziarie, hanno fatto leva i difensori (gli avvocati Gabriele Rapali, Lauro Tribuiani, Massimo Tonoli e Francesca Paola Caporale). Con un affondo che Rapali ha così sintetizzato: «non c'è stata nessuna prova rigorosa necessaria in presenza di un reato grave come devastazione e saccheggio, non sono state individuate le condotte singole, non c’è stato un filmato, non ci sono state delle foto. E' un processo che sconta l'assenza di una istruttoria dibattimentale e d'indagine. Non è ipotizzabile il concorso morale, non lo è giuridicamente perchè nessuno degli imputati è stato individuato come il responsabile di quei fatti».

Le manifestazioni finite sotto accusa sono quelle dell’11 e del 12 novembre del 2009, quindi nei giorni in cui Elvis Levakovic (il rom accusato di aver sferrato il pugno mortale all’imprenditore e per questo condannato a dieci anni per omicidio preterintenzionale) non era stato ancora arrestato. I cortei si conclusero davanti alle case dei rom con lancio di sassi contro i vetri delle abitazioni, contro le macchine in sosta, contro i portoni delle case del centro di Alba. La procura in un primo momento aveva fatto una richiesta d’archiviazione respinta dall’allora gip Marina Tommolini con la richiesta di una imputazione coatta.

Secondo i giudici d’Appello a sferrare il pugno mortale è stato solo Levakovic, ma moralmente sono responsabili anche gli altri due rom che la sera del delitto erano con lui: Sante Spinelli e Danilo Levakovic. Per questo i due, assolti in primo grado, sono stati condannati a dieci anni dai giudici d’Appello, sentenza che l’anno scorso è stata confermata in Cassazione.

©RIPRODUZIONE RISERVATA