Camilla e la sua nuova vita su una sedia a rotelle: «Non mi sono mai arresa»

Da otto anni è disabile per i traumi di un incidente stradale. Oggi è assessora comunale allo sport e alle politiche sociali. La nostra intervista
PINETO. Ci vuole tempo per scambiare una fine con un nuovo inizio. Ma ognuno tira fuori risorse inaspettate e la vita trova sempre la sua strada. Camilla Scianitti disegna ricordi e progetti nell’aria quando mette insieme il prima e il dopo. Il prima di una 25enne che mordeva la vita come solo a quell’età si può fare, il dopo su una sedia a rotelle a causa di un incidente stradale. Era il 16 agosto del 2017, stava guidando per andare al lavoro quando c’è stato lo scontro con altre due auto a Torre San Rocco di Pineto, a qualche chilometro da casa. La colonna vertebrale rotta, i mesi di riabilitazione, la consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima. Da allora è cambiata la scansione del tempo, lo sguardo sugli altri, gli orizzonti quotidiani. Oggi Camilla ha 33 anni: ha ripreso a guidare, lavora come geometra, gioca a bocce, da giugno 2024 è assessora allo sport e alle politiche sociali al Comune di Pineto.
Cominciamo dal 16 agosto di otto anni fa. Che cosa è successo?
«Sembrava una mattina come tante altre, ma era l’inizio di un’altra vita. Allora lavoravo in un supermercato e mi stavo recando nel negozio. Ero alla guida quando c’è stato l’incidente con altre due vetture. Sono stati ricoverata 45 giorni all’ospedale di Teramo. Mi è stata diagnosticata la rottura della colonna vertebrale. Il che, tradotto in pratica, significa non poter più camminare. Dopo il ricovero a Teramo sono stata nel centro riabilitazione di Montecatone, nel Lazio. Ci sono stata per tre mesi e dopo questo lungo periodo di riabilitazione intenso mi hanno detto che non avrei più camminato. Uscire dal contesto del centro di recupero non è stato facile perché la quotidianità è difficile ed è cosa diversa. Bisogna riprogrammare la vita, ma non mi sono arresa. Mai. Così, giorno per giorno, mi sono ripresa la vita».
C’è stato un momento in cui ha pensato di non farcela?
«I momenti ci sono stati e sono stati davvero tanti perché ricominciare non è mai facile soprattutto quando capisci che indietro non si torna, quando giorno dopo giorno acquisisce la consapevolezza che nulla sarà più come prima. Devo dire che la mia famiglia è stata per me un grande punto di forza. Ho imparato che bisogna rimettersi in gioco, che niente è mai scontato nella vita, che basta un attimo per sfaldare ogni certezza. E che quando capita bisogna solo guardare avanti per poter ripartire. Momento dopo momento. Lo dico sempre: arrendersi non serve a niente anche perché le cose non cambiano. Allora bisogna guardare avanti e pensare che andare avanti si può. In modo diverso, certo, ma si può».
Oggi le ferite si sono trasformate in feritoie: un punto di osservazione verso gli altri. In che modo?
«Devo dire che l’impegno in politica e nella vita amministrativa mi ha hanno fatto capire che ci sono tanti modi per rendersi utili agli altri, per guardare oltre e cercare di fare qualcosa per la realtà in cui viviamo. Con la politica mi sono voluta mettere in gioco e sono stata la prima degli eletti della lista civica “Siamo Pineto”. Il mio ufficio è sempre aperto e mi sono accorta che gli altri vedono in me un punto di riferimento, una risorsa. È evidente che ora vedo le cose in maniera diversa e molto probabilmente questo all’esterno si percepisce, si capisce. Diventa un valore aggiunto. Sì, è giusto dire che le mie ferite sono diventate delle feritoie: un punto di osservazione per guardare gli altri, per carcere di dare delle risposte. Anche piccole perché nessuno può fare miracoli, ma la quotidianità è fatta di tante piccole cose».
È una società pronta a confrontarsi con la disabilità?
«C’è ancora tanto da fare, a cominciare dall’abbattimento delle barriere architettoniche ma anche da quelle che non si vedono e che sono nella testa delle persone. Ci sono ancora tantissimi tabù. C’è ancora paura, incapacità di affrontare le cose con razionalità e senza tanti sentimentalismi che a volte non servono. Serve pragmatismo nella vita di tutti i giorni, serve dare delle risposte concrete. Molto si sta facendo attraverso normative, campagne di sensibilizzazione, ma ancora tanto c’è da fare. Credo sia indispensabile cominciare dalle scuole, far capire ai più piccoli cosa significhi vivere con una disabilità. Bisognerebbe sempre cominciare dalle scuole perché i bambini non hanno filtri di nessun genere. Bisogna lavorare sulle nuove generazioni. Stiamo iniziando, ma c’è ancora tanto da fare».
Il suo caso è diventato materia di una tesi per una laurea in scienze infermieristiche. Che effetto le ha fatto?
«È stata una emozione grandissima, la mia nuova vita che diventa argomento di studio. Ancora oggi, tutte le volte che la leggo, mi vengono i brividi. Perché vista da fuori, raccontata anche attraverso il percorso di riabilitazione ti fa capire che ogni cosa che fai, nel bene e nel male, può servire agli altri. Ecco, questa è la cosa che mi sorprende sempre ma che nello stesso tempo mi sprona ad andare avanti. Far sì che quello che hai vissuto possa aiutare anche gli altri. In modi diversi. Non sono una a cui piace apparire, ma se la mia storia può aiutare qualcuno, se può dare forza e coraggio a chi si trova a vivere una esperienza simile allora si può anche apparire. In questi anni ho imparato che niente può darti forza e coraggio come condividere con altri la tua esperienza di vita, con altri che si trovano nelle tue stesse condizioni e che magari non riescono a trovare l’elemento per ripartire, per riprendersi la vita che non è più quella di prima».
Prima dell’incidente faceva danza, dopo l’incidente ha cominciato a giocare a bocce ed è tra i fondatori della prima squadra paralimpica in Abruzzo. Anche a questo si riferisce quando parla di condivisione?
«Sono stata la capitana della squadra che si chiama Bocciofila Pinetese. Oggi non ci sono più come atleta ma sono rimasta come sostegno. È stata, e continua ad essere, una esperienza bellissima, aggregante. Certo anche questa è condivisione: condivisione di una realtà, di un obiettivo. Lo sport aggrega, motiva».
Oggi Camilla Scianitti che sogno ha?
«Viaggiare, che mi piace tanto, e continuare a fare quello che sto facendo come assessora. Ma anche poter tornare a camminare. La scienza fa progressi, ho girato tanti ospedali in Italia e all’estero e un minimo di speranza che qualcosa possa succedere c’è. Oggi ho una seconda vita, ma il sogno di poter tornare a camminare nessuno me lo può togliere».
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