il caso in cassazione

Delitto di Melania Rea: oggi l'ultima parola

I legali dell'ex militare Parolisi condannato a 30 anni: "Dateci un nuovo processo o andremo alla Corte Europea"

TERAMO. Se la giurisprudenza insegna che un omicidio è un caso chiuso solo con una sentenza definitiva di condanna, allora bisognerà aspettare ancora un giorno per scrivere la parola fine sul delitto di Melania Rea, giovane mamma massacrata con 35 coltellate il 18 aprile del 2011 e lasciata agonizzante nel bosco di Ripe.

Per il marito Salvatore Parolisi, ex caporal maggiore dell’esercito, condannato all’ergastolo in primo grado e a trent’anni in secondo, oggi è il giorno della Cassazione. Davanti ai giudici della Suprema corte i suoi legali proveranno a smontare le motivazioni dell’Appello perchè ogni cosa ha la sua importanza in una storia che gira sull’elica di un dna e perchè ci vuole sempre un bagaglio probatorio sufficiente per affermare o negare la responsabilità di ciascuno. E nell’Italia dei casi giudiziari divorati nei salotti televisivi (fuori uno, avanti il prossimo), quello della giovane mamma di Somma Vesuviana non fa eccezione.

Parolisi, da quattro anni detenuto nel carcere teramano, anch’egli destinatario di decine di lettere di fans (come la cronaca racconta dai tempi di Pietro Maso in poi), protagonista di una pagina Facebook con duemila iscritti convinti della sua innocenza, ripete che non ha ammazzato sua moglie, che l’ha tradita ma non uccisa. Che quel giorno di aprile è rimasto a far dondolare la figlia sull’altalena del pianoro di Colle San Marco, mentre Melania è sparita alla ricerca di un bagno.

Non gli ha creduto il giudice di primo grado che al termine di un rigoroso rito abbreviato lo ha condannato all’ergastolo, non gli hanno creduto i giudici dell’Appello che hanno riformato la sentenza a 30 anni riconoscendo Parolisi colpevole «perchè ormai stretto in un tunnel, incapace di scegliere tra la moglie e l’amante». Due condanne con motivazioni diverse. «La prima emotiva», dice Nicodemo Gentile, uno dei tre legali di Parolisi, «la seconda viziata da un pregiudizio. Ma noi non ci fermeremo e se la Cassazione non accoglierà le nostre ragioni siamo pronti a rivolgerci alla Corte europea». Sono 16 le ragioni che il collegio difensivo del caporalmaggiore questa mattina snocciolerà davanti ai giudici della prima sezione. «Siamo fiduciosi del fatto che la Cassazione saprà ben valutare le argomentazioni offerte in ordine ad alcuni temi dove le due sentenze hanno mostrato perplessità», spiega l’altro difensore Valter Biscotti, «dalla prova scientifica alla contraddittorietà del movente, dalla motivazione insufficiente relativa alla presenza di altre persone sulla scena del delitto all'assenza di prove legate al vilipendio del cadavere».

Aggiunge Federica Benguardato, altro difensore: «Ci sono fonti di discordanza tra le due sentenze che giungono al riconoscimento della colpevolezza con motivazioni diverse. Inoltre non può essere ravvisata l’aggravante della crudeltà che non c’è stata, ma quello che la giurisprudenza definisce il furore di un delitto d’impeto. Non ci sono elementi che riconducano Parolisi sulla scena del delitto». Per la terna difensiva, dunque, non ci sono prove a carico del caporal maggiore: per questo gli avvocati chiederanno la riforma della sentenza di appello per puntare all’assoluzione Nei corridoi del Palazzaccio ci saranno anche Gennaro e Michele Rea, padre e fratello di Melania. Qualche settimana fa hanno lanciato un appello «affinchè la Suprema Corte confermi la condanna a 30 anni».

Il loro avvocato Mauro Gionni aspetta il pronunciamento prima di fare dichiarazioni. Si limita a dire «confidiamo nell’operato dei giudici della Cassazione». Che arriverà questa sera al termine di una giornata in cui a ruolo sono iscritti 11 provvedimenti. L’ultimo è quello dell’omicidio del bosco di Ripe.

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