Denuncia il marito e ritratta: «Non ricordo nulla». Gli atti in Procura per reticenza

Aveva accusato il coniuge di averla minacciata tre volte con un coltello e una con un cacciavite. I maltrattamenti sarebbero avvenuti davanti ai figli, ma in aula la donna fa un passo indietro
TERAMO. Denuncia il marito per maltrattamenti, lo accusa di averla minacciata con un coltello e un cacciavite, ma poi ritira la querela e in aula la sua deposizione è costellata da una lunga serie di contestazioni del pm ai suoi tantissimi «non ricordo». Con un epilogo non nuovo ma tale nell’ipotesi di reato: per la donna i giudici hanno chiesto la trasmissione degli atti in Procura per reticenza. Reato che, per il codice, si configura quando un testimone, durante la sua deposizione, tace o nasconde informazioni rilevanti che dovrebbe riferire.
Nei tempi infiniti di Codici Rossi e dei femminicidi senza tregua, nelle aule di tribunale la cronaca registra spesso casi di questo genere: donne che ritrattano. Chi per paura, chi per rincorrere il presunto bene di una famiglia unita. In questo caso secondo l’iniziale denuncia della donna l’uomo in più occasioni l’avrebbe maltrattata e minacciata, anche davanti ai figli, costringendola spesso a stare chiusa in casa per motivi di gelosia. Fatti che sarebbero andati avanti per mesi fino a quando la donna ha preso i tre figli, si è rifugiata a casa dei suoi familiari e ha fatto la denuncia.
Dopo la denuncia per l’uomo è scattato il divieto di avvicinamento e successivamente il rinvio a giudizio per maltrattamenti aggravati dall’essere avvenuti davanti ai figli minorenni. «Mi impediva di uscire perché era geloso e per questo non ho potuto prendere nemmeno la patente. In tre occasioni mi ha minacciato di morte con un coltello da cucina e una volta anche con un cacciavite», aveva detto in sede di denuncia successivamente alla quale per l’uomo era stata disposta la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla moglie.
Dopo l’apertura del processo la donna ha ritirato la querela e ieri in aula, alle domande del pm Elisabetta Labanti, ha risposto sempre «non ricordo». Il collegio presieduto dalla giudice Claudia Di Valerio (a latere i giudici Emanuele Ursini e Carla Fazzini) ha disposto la trasmissione degli atti in Procura con la contestazione dell’ipotesi di reticenza.
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