Abbateggio, il popolo dei tholos lascia la valigia

Abbateggio è entrato a far parte del Club nazionale dei Borghi più belli d’Italia tre giorni fa, portando a quota 198 i centri della Penisola ammessi. In Abruzzo ne sono 20. Per accedere al Club il centro storico deve avere meno di 3000 abitanti e gli esterni degli edifici non devono aver subito ristrutturazioni con materiali moderni a vista

ABBATEGGIO. Sono 452. Le porte d’ingresso di ognuna delle loro case - che affaccino sui vicoli lastricati in pietra candida della Maiella o sui boschi e i pascoli verdi che circondano le contrade - hanno la chiave nella toppa esterna o sono socchiuse. Ci si conosce tutti, ci si può fidare. Da qualche anno il numero degli abbateggiani che vivono nel loro paese è in leggera costante crescita. E soprattutto non è in diminuzione: non un gioco di parole per dire la stessa cosa, ma un dato importante che significa che non solo si torna a nascere e a vivere in questo borgo bello tra i monti, ma che da qui non si deve più andare via in cerca di fortuna, perché possibilità di lavoro e di progettualità per il futuro Abbateggio la sta riscoprendo.

L’emigrazione ha falcidiato anche questo angolo d’Abruzzo: qui gli anni ’60 sono stati quelli dell’esodo verso terre lontane. Le miniere di bitume della Sama, nella Valle del Lejo, cominciarono a costare troppo, a non rappresentare più lo sbocco lavorativo che erano state per generazioni. Uno dopo l’altro i pozzi vennero chiusi e padri, figli, intere famiglie presero la via dell’estero, meta il Belgio, il Lussemburgo, l’Inghilterra per chi voleva mettere a frutto nei giacimenti di carbone l’eperienza maturata nelle miniere d’asfalto di casa sua; la Francia, Parigi soprattutto, la scelta degli artigiani dell’edilizia cresciuti aiutando i nonni a lavorare le pietre per fare muretti a secco e straordinari tholos; ancora l’Australia, dove tanti trovarono posto nelle fabbriche di wisky, e il Canada, a farsi strada nelle industrie metalmeccaniche.

Ma il suono dei passi sull’acciottolato, l’odore di castagne e farro nell’aria, i colori dei vigneti, i campanacci delle pecore sulle colline, insomma il sapore di casa è rimasto attaccato al cuore e ai sensi degli emigranti, tanto che quando nel 2005, con il patricinio dell’allora ministro degli Italiani all’Estero Mirko Tremaglia, il sindaco Antonio Di Marco fece partire il progetto pilota per rintracciare - anche attraverso il web - gli emigrati in tutti gli angoli della terra, per Abbateggio è stato un boom. Oggi sono circa cinquemila gli aderenti all’associazione «Abbateggiani nel mondo». Il legame tra chi è rimasto e chi se n’è andato, non importa quando, si è ricreato e rinsaldato velocemente. Ogni Paese ospite ha un rappresentante eletto degli abbateggiani, a dicembre sarà nominato il presidente di tutti loro. E si sono fatti avanti a rivendicare con orgoglio le proprie radici alle falde della Maiella madre personaggi divenuti importanti.

Come Robert Di Pierdomenico, stella del football australiano, adorato in Australia quanto Maradona in Argentina; o l’ex ministro del Commercio del Canada, Remo Mancini, o ancora Michele Di Tommaso, rintracciato negli Usa, amico personale della famiglia Bush, che nel suo sito internet ha voluto evidenziare la provenienza: «Abbateggio, Abruzzo, Italia». E che, dicono nel borgo, sarebbe stato l’ideatore di una riunione, segretissima quanto leggendaria, tenuta nel 1998 in uno delle ristrutturate strutture ricettive del paese dello staff elettorale di George W.Bush, con presente nientemeno che il futuro vice presidente degli Usa, Dick Cheney.

Che si tratti di verità o chiacchiere di paese, certo è che il turismo che ruota intorno all’emigrazione ha avuto e sta avendo uno boom eccezionale. Seguito con attenzione. Così lungo il sentiero per Fosso Cusano c’è l’ingresso della miniera chiusa che oggi è l’Ecomuseo della Majella - Valle del Lejo, con gli attrezzi e la riproduzione dei cunicoli a ricordare ai figli la fatica dei padri. Proseguendo verso Roccamorice, dopo un paio di curve si spalanca davanti allo sguardo il Villaggio paleolitico della Valle Giumentina, scoperto negli anni ’50 dall’archeologo Mario Rudmilli e dove sta sorgendo l’Ecomuseo dell’Uomo del Paleolitico in cui avrà posto l’Ercole Curino in bronzo trovato nel Tempio italico.

E ancora, camminando con la non remota speranza di incontrare un cervo o un capriolo sul tratturello incancellato dall’asfalto, c’è la zona dei tholos, i geniali ricoveri agro-pastorali dalla forma elicoidale costruiti con pietre tagliate e sovrapposte (e inamovibili nei secoli) senza un filo di cemento. Sono sulla terra di Case Catalano, dal nome di un militare spagnolo premiato con quel dono dal re, e le hanno ereditate Carmine Di Gregorio appassionato d’arte e del recupero rigoroso fino al puntiglio delle antiche strutture, e sua moglie: fienili e stalle di pietra con soffitti a trave «brangate», fontanili enormi scavati nella roccia, come di pietra è l’aia dove si batteva il grano, stanno diventando una struttura ricettiva per amanti di un turismo speciale.

Sì perché lo sviluppo turistico che Abbateggio si sta dando guarda alla compatibilità ambientale, al rispetto dell’ecosistema e alla riscoperta di storie e sapori millenari. Così da una quindicina di anni il farro, cereale un tempo principe in queste terre agricole cosiderate «marginali», perché disseminate di sassi, ma ricche di magnesio e ferro, è tornato ad essere coltivato, e poi commercializzato, approdando sulle tavole più lontane. L’idea è stata di Beatrice Tortora, imprenditrice quarantenne che poi ha dato vita al primo Bed&Breakfast, quindi alla «Fattoria didattica di Bea». La creatività femminile primeggia ad Abbateggio: è ancora una donna, Emilia Scarpone ad aver voluto a picco sul paese l’ecoalbergo «Modus Vivendi», forse il primo nella regione costruito con materiali ecocompatibili e alimentato con energie rinnovabili.

In totale per ora ci sono 165 posti letto, 3 ristoranti e 2 agriturismo. Ma lanciando lo sguardo verso Sant’Eufemia a Maiella c'è il sentiero degli Eremi Celestiniani e si intuisce che il turismo religioso è un altro campo di sviluppo che Abbateggio non vuole sottovalutare. Non può. Spiritualità e tradizioni popolari vanno a braccetto da queste parti. Tra le chicche architettoniche c'è la chiesa della Madonna dell’Elcina, parola quest’ultima italianizzata dal dialetto lecìna, leccio, l’albero sulla collina rocciosa che sovrasta il borgo, su cui tradizione vuole che comparve la Vergine a due fratellini sordomuti, che dopo quella visione riebbero voce e udito: tre volte videro Maria, mentre i compaesani accorsi vedevano un quadro che tre volte portarono nella chiesa di San Lorenzo e tre volte tornò sul leccio, segno, capirono gli abbateggiani, che lì doveva sorgere una nuova chiesa.

Ora l’edificio di culto è in fase di restauro e il terremoto non gli ha giovato. «Quelle scosse sono il mio ricordo più brutto qui, insieme agli incendi del 2007», racconta Orsolina D’Amico, la nonna del paese con i suoi 97 anni, mentre sferruzza all’uncinetto senza occhiali. «I miei figli sono emigrati, 13 volte sono volata a trovarli in America, e 13 volte sono tornata: sto bene qui, lì non capisco una parola e corrono tutti, qui tutti mi parlano e piano piano arrivo dove voglio». Il giorno dopo la scossa atroce del 6 aprile il paese ha aperto («senza se e senza ma», ricorda con orgoglio il sindaco) le sue strutture ricettive a un centinaio di aquilani.

«Gente riservata, che si è aperta lentamente. Ora siamo amici, davvero», dice Fabrizio Di Giacomo, tanto che ognuno di loro diventerà Cittadino onorario di Abbateggio, unendosi a Grazia Francescato, Dacia Maraini, Thara Ghandj, Rita Elkhayat e ad altri ancora, scrittori che hanno vinto il Premio Maiella, altra creazione di Di Marco, che da un decennio attira i riflettori del mondo della cultura su questo spicchio incantato d’Abruzzo.