Benvenuti nei paradisi fiscali, la giungla delle società fantasma: così le barche evadono le tasse

27 Maggio 2025

Le imbarcazioni scelgono di registrarsi (cioè di “battere bandiera”) in Paesi considerati, a torto o a ragione, “vantaggiosi”, ma è sempre opportuno approcciarsi con la debita prudenza a certe scelte

PESCARA. Non di rado capita di incappare in imbarcazioni con nomi italiani che, tuttavia, battono bandiera di altre nazioni. Le imbarcazioni scelgono di registrarsi (cioè di “battere bandiera”) in Paesi considerati, a torto o a ragione, “vantaggiosi”; ciò sotto il profilo fiscale piuttosto che economico, giuridico e/o amministrativo. In ogni modo, come avremo occasione di vedere nel prosieguo di questo contributo, “non è tutto oro quel che luccica”; ragion per la quale, è sempre opportuno approcciarsi con la debita prudenza a certe scelte.

Per quanto concerne, nello specifico, i vantaggi fiscali, molti Stati garantiscono un’imposizione molto bassa o irrilevante in riferimento alle navi registrate sotto la loro bandiera; nonché, tra le altre, esenzioni su Iva e tasse di proprietà. Anche sotto l’ulteriore profilo dei costi burocratici di gestione, è opportuno ricordare che talune nazioni prevedono diritti di registrazione e canoni di mantenimento (quantomeno in apparenza) favorevoli; di gran lunga inferiori rispetto a quelli imposti da altri Stati europei o nordamericani.

Pure la burocrazia in senso stretto, del resto, ha il suo peso; tant’è che, spesso e volentieri, i “paradisi fiscali” vantano iter burocratici molto più snelli (con requisiti documentali “leggeri” richiesti dalle competenti Autorità e tempi di conclusione veloci o addirittura velocissimi). Una minore stringenza, del pari, può riguardare anche le normative tecniche e di sicurezza (con tutti i rischi vari ed eventuali conseguenti); la possibilità di imbarcare personale non riconosciuto o formato secondo norme meno severe (idem); il fatto di non obbligare all’ottenimento di talune certificazioni costose (idem); nonché il sostenimento di costi del lavoro sensibilmente inferiori a quelli degli altri Stati, con contratti di lavoro dipendente a condizioni ampiamente più vantaggiose (e sotto questo profilo, possono porsi anche altre questioni etiche non strettamente legali-tributarie).

Per ovvie ragioni, anche la privacy e la riservatezza possono assumere un carattere rilevante in questo contesto. In alcuni “paradisi fiscali”, infatti, è consentita l’intestazione a società di comodo che non rendono pubblici i reali beneficiari; nonché l’assenza di un pubblico registro dei titolari effettivi. La scelta, inoltre, può essere dettata anche dall’esistenza di particolari norme contrattuali studiate per favorire operatori internazionali; per l’eventuale adesione a convenzioni marittime Imo riconosciute a livello globale (Solas, Marpol etc.) o anche per la sussistenza di agevolazioni doganali.

In conclusione, la scelta di una bandiera “di comodo” riconducibile a un paradiso fiscale pare essere (quasi) sempre dettata da una combinazione di considerazioni; relative, di volta in volta, al risparmio sui costi operativi, alla semplificazione burocratica, ai minori oneri fiscali e alla maggiore tutela della privacy del proprietario e utilizzatore. Tuttavia, come già anticipato, di non poco rilievo appaiono i “rovesci della medaglia”. Oltre all’incremento dei rischi per la sicurezza e alla discutibilità etica di talune scelte, cui si è accennato in precedenza, corre l’obbligo di menzionare l’incremento della possibilità - rispetto alle altre imbarcazioni - di incorrere in controlli più stringenti da parte delle Autorità di Paesi terzi o dell’Organizzazione marittima internazionale; proprio in ragione della scarsa trasparenza dei “paradisi fiscali”.

La conseguenza che la scelta di una bandiera “di comodo” potrebbe comportare è che, oltre alle ispezioni tecniche di routine sulla sicurezza marittima, venissero svolti anche eventuali approfondimenti finanziari ed antiriciclaggio (tesi a smascherare strutture societarie opache, nonché a impedire l’evasione di imposte e/o il compimento di traffici illeciti). Ciò è previsto, peraltro, dalla Direttiva 23/04/2009 n° 2009/16/Ce attraverso un sistema di controllo, da parte dello Stato di approdo, basato su ispezioni effettuate anche sulla scorta del Mou di Parigi; che punti a ispezionare tutte le navi con una frequenza legata al profilo di rischio, con la conseguenza che le navi che presentano un rischio più elevato siano sottoposte ad ispezioni più dettagliate con maggiore frequenza.

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