Caos sugli affitti brevi, i costi con la cedolare secca al 26%

25 Ottobre 2025

Booking e Airbnb, la tassa al rialzo è solo una delle tante spese che gravano sui proprietari

PESCARA. Non c’era. Poi è spuntata, ma non ci sarebbe dovuta essere. Alla fine, ci sarà. È ormai quasi matematica la certezza che la nuova legge di bilancio porterà in dono l’aumento della cedolare secca per gli affitti brevi, dal 21% al 26%. Appena trapelata la notizia, il vicepremier forzista Antonio Tajani era stato netto: «Non voteremo mai questa norma». Il giorno dopo, accordo trovato. L’unica differenza? La tariffa rimarrà al 21% per chi affitta senza l’intermediazione di piattaforme online o agenzie immobiliari. Un dettaglio, visto che rappresenta una minima percentuale rispetto al totale.

Secondo le associazioni di categoria, la “nuova” cedolare sarà solo l’ennesimo rincaro in un sistema fiscale già aggressivo nei confronti dei proprietari. Aigab, che rappresenta più di 800 operatori del settore, stima una perdita media di 1.300 euro per una famiglia che incassa annualmente 25mila euro. E se a questi si aggiungono l’ampio tariffario di spese tra bollette, manutenzione, tasse regionali, pulizie e, soprattutto, i siti online, i guadagni si riducono al minimo. Una fetta consistente, infatti, è rosicchiata dalla commissione richiesta dalle piattaforme di intermediazione web. Per scoprire quanto incidono queste tasse di servizio sugli utili complessivi, basta indossare i panni da proprietario di casa e farsi un giro su Airbnb e Booking, i siti online che hanno il sostanziale monopolio di un settore che, solo in Abruzzo, vale oltre 30 milioni di euro l’anno. 

Su Airbnb l’host, cioè chi affitta, paga una commissione per ogni prenotazione ricevuta. Nella maggior parte dei casi equivale al 15,5% del costo di locazione, ma i prezzi possono variare a seconda del tipo di prenotazione e di struttura delle commissioni. Non è sempre stato così, perché negli anni il portale ha cambiato la sua policy in materia. Fino a poco tempo fa, offriva due diversi modelli di commissione. La più gettonata era la cosiddetta “split-fee”, in cui l’host era soggetto a una tassa di servizio standard del 3% basata sull’importo totale della prenotazione. Detto in termini più semplici, la commissione era condivisa, con il 14% a carico dell’ospite. Il calcolo avveniva in base al subtotale della prenotazione, che include tariffa notturna, spese di pulizia ed eventuali spese aggiuntive per gli ospiti (se applicabili). La tassa era direttamente detratta all’host al momento del pagamento.

L’alternativa era la “host-only fee”, completamente a carico del proprietario. Una tassa piatta al 15,5% che alleggeriva gli ospiti dagli oneri di servizio. Era questa chiaramente la più gettonata tra i locatori. Poco male, però, perché nel giro di un paio di mesi questa modalità di calcolo della commissione diventerà l’unica opzionabile su Airbnb. Dal 27 ottobre la modifica sarà ufficiale per chi gestisce le proprie abitazioni sul sito grazie a sistemi gestionali (generalmente chi ha pubblicato più annunci contemporaneamente); dal 1° dicembre, poi, il sistema sarà esteso anche a chi non utilizza nessun altro gestionale, cioè, il più delle volte, proprietari che affittano per breve tempo la propria seconda casa. Un esempio pratico: per una tariffa notturna da 200 euro, inclusi i costi di pulizia, Air Bnb trattiene 31 euro. Con la nuova cedolare secca al 26%, l’utile diminuisce di altri 52 euro, toccando quota 117 euro. E se a ciò si aggiungono gli oneri aggiuntivi, ecco che i guadagni si riducono all’osso.

L’altra grande piattaforma di riferimento nel mercato degli affitti brevi è Booking. Il sistema qui è relativamente più semplice, perché in Italia la piattaforma impone una tassa fissa al 15% per ogni prenotazione effettuata. In poche parole, su 100 euro di tariffa notturna Booking ne trattiene 15. Diversamente da Airbnb, la piattaforma non preleva la quota di commissione al momento del pagamento, ma all’inizio del mese invia una fattura al proprietario con l’importo dovuto del mese precedente. L’altra differenza è che Booking dà al proprietario la possibilità di evitare i costi di commissione, permettendogli di “pagare” in termini di flessibilità. Come? Rinunciando alla penale di cancellazione, a quella applicabile per chi, dopo aver prenotato, non si è presentato e nell’ipotesi in cui l’addebito sulla carta di credito dell’ospite si sia rivelato impossibile.

In molti si sono sorpresi a scoprire questa voce nella manovra di bilancio. Un governo di centrodestra che aumenta le tasse è già di per sé atipico, se poi lo fa nei confronti dei cittadini che impegnano il proprio capitale a rischio per fare impresa... Non a caso Tajani, l’anima liberale della Farnesina, si era immediatamente esposto in difesa dei proprietari, salvo il clamoroso e repentino dietrofront. La scelta è stata giustificata in questi termini: la misura è un primo passo verso la risoluzione della questione abitativa. In questo modo, dice il governo, sul lungo periodo i proprietari tenderanno ad affittare a chi cerca una sistemazione stabile piuttosto che continuare con gli affitti brevi, più faticosi dal punto di vista gestionale e, adesso, anche più tassati.

Ma l’associazione di categoria Aigab fa notare che la manovra potrebbe avere un effetto boomerang. Il rischio è che i proprietari, davanti a un fisco più pesante, decidano di lasciare gli immobili vuoti. Le conseguenze: meno affitti brevi, meno turismo diffuso, meno consumo, meno manutenzione e ristrutturazioni. E l’altra possibile conseguenza ipotizzata da Aigab forse è anche peggiore: «Di fronte a una fiscalità così aggressiva, quello che temiamo è che molti proprietari si vedano costretti davanti un bivio: rinunciare ad affittare o continuare, ma in nero».

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