Corona della Madonna rubata, perquisite le case dei rom

Caccia ai ladri della basilica dei Sette dolori. Incursioni dei carabinieri dai sospettati del furto di nove anni fa. Le indagini sono partite dalle vecchie tracce I presunti autori furono processati e assolti dal giudice

PESCARA. Le indagini per trovare la corona d’oro della Madonna dei Sette Dolori ripartono da 9 anni fa: dalle case dei rom che nel 2000 sarebbero stati i responsabili del sacrilegio, il furto della corona d’oro della Madonna dei Sette Dolori. Tre nomadi, collegati a un orafo napoletano che, poi, saranno assolti al processo. Alcune case sono state perquisite dai carabinieri e una di queste è a Città Sant’Angelo. Intanto, continuano i sopralluoghi nel convento dei frati cappuccini.

Nella stanza del parrocco, padre Vincenzo Di Marcoberardino, dove la corona d’oro era custodita nella cassaforte appoggiata al muro del bagno e rubata tra le 19 e le 20 di martedì, c’era anche un secchio colmo di monete, circa 1.500 euro, che è stato lasciato lì dai ladri, probabilmente appagati dalle cassaforte. Ma come 9 anni fa, a circondare il furto, è il sentimento popolare, la devozione di un quartiere alla Madonna dei Sette Dolori e all’oggetto che rappresenta la regalità della Vergine, che spinge a pregare di più, a invocare un altro lieto fine proprio come nel 2000, quando la corona venne ritrovata nel giro di 4 giorni.

IL FATTO
Sono trascorsi tre giorni dal furto e i carabinieri, con la collaborazione della mobile, stanno lavorando alacremente al furto denunciato dal parroco alle 21,10 di martedì. A quell’ora, infatti, padre Vincenzo si ritira nella sua stanza al secondo piano del convento, entra nel bagno e non vede più la cassaforte. Un forziere da 150 chilogrammi, alto 1 metro e 20 centimetri e che custodisce monili, una quindicina tra braccialetti, collanine e catenine, 6 mila euro in contanti e la corona della Madonna dei Sette Dolori che pesa mezzo chilo: la sua stima è di 10-12 mila euro, una cifra più bassa da quella ipotizzata dal parroco subito dopo l’accaduto, ma è la sua sacralità ad addolorare. I ladri, secondo la ricostruzione, sono entrati nel convento a cui si accede attraverso un cancello automatico tra le 19 alle 20, probabilmente approfittando dell’uscita di una macchina. Hanno forzato il portone di ingresso, sono andati dritto alla stanza del parroco, hanno sollevato la cassaforte con un carrello, sono scesi con l’ascensore e si sono dileguati.

L’INFORMATORE
Il convento dei frati minori cappucini si trova in Largo Madonna di fronte la basilica della Madonna dei Sette Dolori: una zona di passaggio, ancora viva all’orario del furto, con negozi nei dintorni, un panificio, il giornalaio, il bar. Nel convento ci sono tredici frati, alcuni dei quali anziani, e la cui giornata è scandita dalle lodi mattuttine, dalle celebrazioni, dall’incontro con i fedeli e i pasti nel refettorio. I ladri, per avventurarsi nel furto compiuto tra le 19 e le 20, conoscevano a menadito le abitudini dei frati e probabilmente anche dei residenti nei dintorni. Così prende corpo l’ipotesi di un informatore, di qualcuno che avrebbe potuto indicare gli orari e gli spostamenti dei frati e suggerire che a quell’ora, nelle stanze del secondo piano, non ci sarebbe stato nessuno.

LE PISTE Nove anni fa, il furto fu più rocambolesco: i ladri si introdussero da un finestra, mentre martedì scorso, l’uso dell’ascensore racconta di un furto fatto senza timore di essere scoperti, quasi con comodità. Ma i ladri sapevano che la corona fosse nella cassaforte? Nel 2000, i malviventi entrarono per rubare i soldi e uscirono con una cifra sostanziosa, 40 milioni di euro. Solo per una circostanza fortuita, si accorsero della corona e presero anche quella. Anche oggi, appare plausibile che siano entrati per prelevare la cassaforte, allettante per la sua grandezza, custode, nella mente dei ladri, di un mucchio di soldi. E, così, si riparte dai rom, dagli stessi che sarebbero stati i profanatori della Madonna, ma con uno sguardo ad altre etnie. E’ aperta anche la pista di chi viene da fuori città, di chi è all’oscuro del valore religioso della corona della Madonna dei Sette Dolori, che non immagina che un quartiere vada in fibrillazione per la Vergine protettrice.

LA ROGNA Oggi come ieri, così, accade che la corona finisca per diventare un oggetto ingombrante nella mani di chi la prende. Né la firma, quella dell’orafo di Penne che l’ha cesellata nel 1907, né il suo valore economico, la rendono un oggetto piazzabile: o l’oro si squaglia oppure la corona difficilmente troverebbe un acquirente.

L’EMOZIONE Ma attorno all’incoronazione della Madonna ruota un intero quartiere che assegna al diadema un valore simbolico: «Che schifo», si ascolta tra le strade dei Colli. E’ una fede che oltrepassa la stima, che non guarda se il diadema che incorona la Madonna durante la processione sia una copia o l’originale. Sulla Madonna custodita nella teca della chiesa c’è infatti una corona fittizia e l’ultima volta che l’originale è stata esposta era il 2007, nel centenario dell’incoronazione. La signora Irma, sulla sessantina, abita ai Colli. Non sa che in processione va una corona di latta e che quella originale, forse, non l’ha mai vista: «Non me ne importa niente», dice. «Quanto è bella la Madonna con la corona».