L’intervista a Maurizio Scelli: «Sono tornato in campo, mi avevano dato per finito»

26 Novembre 2025

Nelle ore che precedono le Giornate regionali, parla il capo della Protezione civile: «Amo le sfide, a Pescara duemila volontari»

L’AQUILA. Nelle ore che precedono le Giornate regionali della Protezione civile, Maurizio Scelli apre le porte dell’Agenzia al Centro e a Rete 8 e racconta ambizioni, sfide e fragilità di un sistema chiamato a rispondere a un territorio complesso come l’Abruzzo. Dalla formazione dei volontari all’uso dell’intelligenza artificiale, dal contrasto agli incendi al sogno di trasformare l’aeroporto di Preturo in un hub operativo: un viaggio dentro la macchina che prepara la sicurezza di una comunità, con lo sguardo - e l’esperienza - di chi ha conosciuto emergenze vere, in Italia e nel mondo.

Partiamo dall’attualità: che cosa avverrà in queste giornate a Pescara?

«Sarà un momento in cui ci ritroveremo tutti: stimiamo circa duemila volontari da ogni angolo d’Abruzzo. Stare insieme, fare squadra, formarsi, trovare quell’intesa che servirà – mi auguro mai – se dovesse verificarsi un’emergenza. Sapere già qual è il ruolo di ciascuno è fondamentale per essere vicini a chi si trova in difficoltà».

Ci sarà anche un ospedale da campo?

«Avremo un’esposizione di mezzi e strutture. In piazza Salotto mostreremo un ospedale da campo: quelle strutture che servono nella primissima fase, soprattutto per esigenze umanitarie e sanitarie. I cittadini potranno vedere di cosa è dotata la Protezione civile abruzzese».

Lei è stato figura di primo piano a livello nazionale. Perché ha accettato questo ruolo in Abruzzo?

«Venivo considerato un uomo finito, vivevo con il marchio “ex” davanti al nome. Ho avuto l’onore di essere preferito a 44 super manager, vincendo un concorso. Devo ringraziare il governatore Marsilio. Questa è diventata una sfida. Penso a Claudio Ranieri: non la Champions con il Real Madrid, ma il campionato col Leicester. Con il Real è facile, con il Leicester è difficile. Io spero, grazie alle mie esperienze, di portare la Protezione civile abruzzese a essere, se non la migliore, tra le migliori d’Italia».

Spesso, però, Claudio Ranieri è stato chiamato nelle situazioni di grande difficoltà. È stato così anche per lei?

«(Ride, ndr) No, ho trovato una struttura nuova, autonoma dalla Regione: 52 eroi. Si parla sempre dei volontari, ma ci sono dipendenti che vivono di questo lavoro. Le altre Regioni hanno oltre cento unità, noi 52, ma con grande desiderio di crescere e mettersi alla prova. Li ho messi subito davanti alle sfide».

Ci sarà modo di implementare l’organico?

«Più ci daremo obiettivi ambiziosi, più dimostreremo capacità e più crescerà il fabbisogno di figure professionali. Spero presto di presentarmi davanti a presidente e giunta per mostrare ciò che abbiamo fatto con poco e chiedere qualcosa in più».

L’Abruzzo ha conosciuto catastrofi reali. Qual è oggi lo stato di preparazione?

«Le catastrofi hanno aumentato la consapevolezza dell’importanza della prevenzione. I giapponesi, qualche settimana fa, hanno fatto i complimenti: L’Aquila oggi è considerata una delle città più sicure al mondo. Abbiamo recuperato credibilità nazionale e internazionale. Ma tutto questo va usato: orgoglio da una parte, capacità di prevenire dall’altra».

Ci sono lezioni non ancora interiorizzate? Vulnerabilità da risolvere?

«Serve più promozione della cultura di protezione civile. Non se ne deve parlare solo quando accade qualcosa. Penso alle scuole: incontreremo i dirigenti grazie all’entusiasmo del dottor Massimiliano Nardocci. Vogliamo far innamorare i ragazzi dei valori della solidarietà».

Che cosa fa la Protezione civile nelle scuole?

«Corsi di comportamento, indicazioni sulle azioni da fare. Ma soprattutto preparazione mentale e del cuore: capire che nessuno è invincibile. Tutti possono vivere un momento di dolore o disastro e hanno bisogno di qualcuno che sappia come aiutarli».

Esistono zone grigie nelle competenze? I sindaci spesso sono soli.

«I sindaci sono i più esposti. Basta un colore di allerta e si trovano schiacciati da responsabilità. Sabato 29 mattina, al teatro Flaiano, presenteremo una proposta a sindaci, prefetti, magistrati e parlamentari: una solidarietà diffusa che faccia sentire anche l’ultimo comune meno solo».

L’Abruzzo è policentrico. Come si è efficaci?

«Oggi ci sono IA, droni, satelliti. Non possiamo restare a Whatsapp e Sms. Serve una centrale operativa all’altezza, che riceva il segnale, lo elabori e lo trasmetta a chi interviene. Spesso il sindaco non ha competenze tecniche ma grandi responsabilità, anche giudiziarie».

Torniamo all’estate: emergenza incendi. Lei ha parlato di tolleranza zero. È possibile?

«Presenteremo ai sindaci un progetto per monitorare le aree a rischio: al primo fumaiolo scatta l’allarme e parte la macchina dei soccorsi. Il mio sogno, salvo privacy, è arrivare persino al numero della taglia delle scarpe di chi appicca gli incendi».

In quanto tempo?

«Già dalla prossima estate. Non possiamo perdere altro tempo».

Cambiamenti climatici: come migliorare i sistemi di allerta?

«Con il nuovo monitoraggio miglioreremo molto. Ho personale altamente specializzato. Unendo ciò che abbiamo alla tecnologia, l’efficacia aumenterà».

Comunicazione in emergenza: cosa farete?

«Vogliamo un modello che gli altri ci invidino. Non basta dire che arriva la grandine: bisogna dire cosa fare. Un’app potrà comunicare l’allerta, suggerire azioni e rispondere alle domande dei cittadini».

Nella sua carriera c’è un episodio che ha segnato il suo modo di intendere questo lavoro?

«Ho portato un ospedale da campo attivo in zona di guerra. Sono stato sotto bombardamenti, sui campi minati, ho rischiato attentati. Abbiamo salvato migliaia di persone, trattato sugli ostaggi. Questo mi ha insegnato che la protezione civile deve essere un ambito in cui chiunque desideri dare il meglio di sé. Serve un’etica: far crescere cittadini migliori».

Guerra, Gaza, Ucraina, migranti: l’Abruzzo è una regione accogliente?

«L’Abruzzo ha una marcia in più: sa essere riconoscente. Dal 2009 ha ricevuto amore, sostegno, solidarietà. Per questo saremo sempre tra i primi ad aprire le braccia».

Ma servono strutture. I dormitori per migranti sono soluzioni efficaci?

«Il dormitorio è solo un palliativo. Facciamo parte di un sistema nazionale: ci coordiniamo con Roma. Non come i pachistani portati davanti alla Prefettura dell’Aquila: lì il sindaco Pierluigi Biondi ha fatto bene a essere duro. L’Aquila non può prestarsi a giochetti di natura mediatica».

A proposito dell’Aquila, si parla da tempo dell’aeroporto come hub della Protezione civile. È possibile?

«Secondo me sì. Ne parlo con i responsabili dell’aeroporto di Preturo: non può restare così. Ci è atterrato Obama nel 2009, può servire la protezione civile in modo adeguato».

Che rapporto ha con la paura?

«Sono stato incosciente, ma un’incoscienza alimentata dalla voglia di buttare il cuore oltre l’ostacolo. Quando un principe arabo mi disse che, per ciò che avevamo fatto per i suoi figli, era disposto a farsi prendere come ostaggio al posto degli italiani, capii che rischiare la vita aveva un senso. La paura non l’ho mai avuta».

Che Protezione civile abruzzese sogna da qui a tre anni?

«Mezzi e strutture di ultima generazione, colonna mobile potenziata, ospedali da campo modernissimi, personale pronto a tutto. Voglio collocarla al vertice della credibilità nazionale. Nel 2004 Ciampi disse che la Croce Rossa era l’istituzione più amata dagli italiani: mi piacerebbe che la Protezione civile abruzzese diventasse la più amata dagli abruzzesi e tra le più apprezzate in Italia. E permettetemi un’ultima cosa».

Prego, dica pure.

«Sabato sera a Pescara avrò l’onore di ospitare alcuni grandi cantanti italiani, con cui ho già condiviso esperienze preziose in passato. Sarà un momento davvero bellissimo».

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