Raffaele, da Pescara ad Harvard: «Ma ora il mio posto è l’Italia»
Economista di formazione, dopo due anni negli Stati Uniti è tornato in Abruzzo e ora aiuta le imprese a innovarsi
PESCARA. Due anni fa aveva le valige pronte per Harvard, per studiare finanza ed innovazione alla celebre Kennedy School e si affrettava a scrollarsi di dosso l’etichetta dell’italiano all’estero. «Non sono un cervello e non sono in fuga, nel senso che non mi sento un genio o una persona che scappa da qualcosa», si affrettava a spiegare a chi gli chiedeva i motivi che lo hanno spinto a mettersi su un aereo per il Massachussets. Pescarese, classe 1980, Raffaele Mauro non ha fatto un biglietto di sola andata verso gli Stati Uniti, infatti. Dopo un paio di anni ha deciso di tornare e mettere esperienza e know how acquisito a disposizione della sua attività. «Mi occupo di innovazione e supporto tecnico a sostegno di società ad alto contenuto innovativo, realizzando anche app per promuovere il lavoro delle imprese», spiega. «Prima di partire per gli Usa mi sono occupato di gestione di un fondo di venture capital, Annapurna Ventures, sviluppando collaborazioni in Italia e all’estero». Un percorso di tutto rispetto, con una laurea in economia e un master alla Bocconi, il tutto coronato con questa esperienza sul suolo statunitense.
«Dalla mia famiglia ho ereditato la passione per lo studio (Raffaele è figlio dell’economista Giuseppe Mauro ndr) e per la formazione professionale. Lo considero un importante vantaggio di base, vale a dire due genitori intelligenti che, provenendo entrambi da background economici svantaggiati ed essendosi successivamente fatti strada nella vita, hanno attribuito grande importanza all’impegno nell’attività svolta. Questo mi ha spinto a cercare dei percorsi appaganti. Ho fatto domanda per Harvard, “one shot”, o quello o niente. Mi è andata bene: non solo sono stato ammesso, ma ho anche avuto un finanziamento completo del mio percorso accademico, il che negli Stati Uniti non è certo poca cosa».
Cosa ha cercato negli Usa?
«Il mio percorso professionale è stato tutt’altro che lineare: mi sono trovato a cambiare punti di riferimento e di appoggio. Ho vissuto, tra l’altro, in varie città nell’arco di pochi anni. Alla ricerca di quello che comunque non mi avrebbe dato Pescara. Una bella città di provincia in cui io avevo costruito il mio micro-mondo difensivo per acquisire stimoli, un interesse per le applicazioni hi tech e per internet in generale. Sullo sfondo, ho da sempre cercato di coltivare la mia passione per le controculture e per alcune forme di attivismo sociale. Con in tasca la laurea dell’ateneo d’Annunzio, ho lavorato brevemente in Confindustria sbarcando a Milano per un dottorato di ricerca alla Bocconi. Qui ho maturato l’importanza di fare esperienza in un contesto diverso: imparando a valorizzare quegli interessi che nel mio ambito di origine venivano considerati solo cose bizzarre da fare nel tempo libero, quando invece potevano essere strumenti per creare opportunità di crescita professionale e persino di produrre nuova ricchezza. Di fatto, avere interessi divergenti (tecnologie informatiche, macroeconomia, politica) poteva essere un pregio e non un limite. Ad Harvard sono stato vice presidente dell’Italian Society, ad esempio».
La vita sociale in un campus deve avere degli aspetti interessanti.
«Ci si tuffa in un melting pot di culture ed esperienze, grazie alla presenza di studenti provenienti da ogni parte del mondo. Gli italiani sono tanti e le attività e gli interessi extracurriculari sono tra i più disparati. Del resto, una delle cose che mi attira particolarmente della formazione accademica negli Usa è la possibilità di unire percorsi curriculari completamente differenti: medicina e lingue, ingegneria e facoltà umanistiche. Harvard è un contesto molto più aperto di quanto si possa pensare: una volta superati i meccanismi di accesso (ovviamente rigorosi), ci sono diverse opportunità di supporto finanziario. Paradossalmente ci sono più possibilità di ottenere borse in quel contesto accademico che in altre università. Il punto è che se in futuro giovani abruzzesi volessero tentare uno dei vari percorsi (master, dottorati, college, progetti di ricerca, etc.) mi piacerebbe incoraggiarli in qualche modo».
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