Tra gli abruzzesi di Venezuela nella rivolta contro il regime

Già due arresti (e altrettanti rilasci) durante i disordini contro Maduro, il successore di Hugo Chavez A Caracas vive una numerosa colonia di emigrati. Parla il giornalista aquilano Di Giacomantonio

L’AQUILA. Dagli spari evitati per un soffio nella favela brasiliana di Rosinha a Rio de Janeiro nel 2005 alle 13 ore di arresto a Maracay, stato di Aragua. Gianfranco Di Giacomantonio, aquilano, noto regista programmista, documentarista, in una parola film-maker, editore di www.abruzzo24ore.tv, ha aggiunto un’altra storia da raccontare delle tante vissute in Sudamerica, dove vive ormai da anni. Arrestato e rilasciato dalla polizia dopo essere stato fermato mentre era intento a filmare la guarimba, le azioni dimostrative dei gruppi di manifestanti di un paese allo stremo, e dunque nel caos, Di Giacomantonio risponde alle domande del Centro alle 7,26 da un cellulare «di riserva». Perché il suo si è scaricato.

Come stai?

«Bene, grazie. Mi hanno rilasciato. A quest’ora ancora non riesco a tornare a casa. Il mio quartiere è isolato, circondato. È ancora tutto bloccato. Vicino a casa mia ci sono stati tre morti durante le proteste La città è grande ed estesa, con 1,2 milioni di abitanti. Noi abruzzesi come cittadini siamo coinvolti in tutto quello che succede, viviamo gli stessi problemi dei venezuelani. Ho assistito poco fa al saccheggio di un supermercato assaltato. Ci sono stati degli spari».

Arrestato con la telecamera in mano. Perché?

«Quando mi hanno preso stavo filmando. Mi è tornata in mente subito l’avventura che ho avuto in Brasile (la sparatoria nella favela, ndr). Ero nel mezzo della manifestazione, stavano bloccando una strada, bruciavano le gomme delle macchine. Comunque non mi era mai successo. Sono accreditato come corrispondente estero. Sono stato nei punti caldi anche nei giorni precedenti e in genere non ti dicono nulla, se hai le credenziali. Io non sono scappato, facevo il mio lavoro. Stavo facendo la cosa che mi ha spinto a trasferirmi qua. Faccio questo mestiere, tu mi puoi capire. Un mestiere per cui devi stare al posto giusto nel momento giusto. O sbagliato nel momento sbagliato».

Che momento era il tuo?

«Quello giusto ma forse nel posto sbagliato. La situazione qui è la seguente. Il paese sta attraversando una crisi economica profonda, per cui non si trovano i generi di prima necessità. Penso alla carta igienica che sparisce dai negozi per un mese. Penso al caffè, che pure qui si produce. La farina nostra non si trova più. La mattina facciamo colazione con la repa. Insomma, non si trovano i prodotti base dell’alimentazione dei ceti più popolari».

La protesta ormai dilaga nelle piazze.

«Sono iniziate le proteste pacifiche da parte degli studenti. I primi a scendere in piazza per questa mancanza di prospettive sono loro. Ma si sono inseriti elementi di provocazione. Qui girano molte armi. È facile, dunque, che s’infiltri qualcuno. Qui sparano, non menano mica cazzotti. La gente gira armata. E anche poco fa, mentre cercavo di tornare a casa con un taxi, ci hanno sparato. C’è da dire, comunque, che il paese è diviso».

Con quali percentuali?

«C’è la parte chavista che sostiene il governo che è la maggioranza, sono al 52 e al 48 per cento. L’evoluzione della situazione la vedo molto difficile. Nei prossimi giorni si prevedono altre manifestazioni. Dal posto dove sono stato arrestato si sentivano spari forti, come se fosse una battaglia».

Ora in che condizioni ti trovi?

«Non riesco a comunicare con le persone, a parte voi. Ho il telefono scarico. Sto parlando da un altro apparecchio. Tra l’altro mi sono perso gli occhiali. Anche per questo devo rientrare il prima possibile a casa».

Qual è il ruolo della stampa in questa fase?

«Ci sono grosse pressioni. Il presidente ha richiamato la legge che tutti i comunicatori devono rispettare, di non mandare immagini violente e di essere equilibrati nell’informazione. Qua non si vede un giornalista venezuelano in giro per le strade, pochissime le tv che mandano immagini delle manifestazioni. Se non direttamente minacciate sono tenute sotto pressione. Non ti dicono non lo fare ma ti dicono di essere equilibrato, ecco tutto».

Come si è arrivati al rilascio?

«L’arresto è durato dalla mattina alle 5,30 fino alle 6 e mezzo della sera. Sono stato interrogato da centomila persone, poi quando si resi conto con chi avevano a che fare...poi si è mossa l’ambasciata, io sono conosciuto, mi hanno trattato bene. Insieme a me hanno arrestato altri 5-6 ragazzi, alcuni erano contusi, mi hanno detto che sono stati malmenati. Tre non c’entravano nulla, chi andava all’università e chi andava con la ragazza e si è trovato lì in mezzo».

Tornare all’Aquila no?

«Io rimango sul campo e non lo abbandono. Ho capito che loro mi controllavano da tempo perché mi hanno mostrato delle foto in cui mi vedo mentre filmavo. Sei tu questo della foto? Sì, perché? È un reato fotografare? Certo, ora mi muoverò con più attenzione».

L’Aquila ti manca?

«A volte».

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