Turismo e lavori stagionali in Abruzzo: «Due imprese su tre sfruttano i dipendenti»

27 Agosto 2025

La denuncia della Filcams Cgil con i banchetti sulla spiaggia di Montesilvano: «Il turismo vale il 13% del Pil regionale, ma troppi non rispettano le regole»

MONTESILVANO. Il turismo vale il 13% del Pil abruzzese ma, secondo i dati della Cgil, due imprese su tre non rispettano le regole e sanno bene di non rispettarle: lo fanno per risparmiare. Un dipendente su cinque lavora in nero, «più dell’agricoltura e dell’edilizia», sottolinea Davide Urbano, segretario della Filcams Cgil Pescara. Il sindacato scende in spiaggia sotto i Grandi alberghi di Montesilvano, culla del turismo d’Abruzzo con migliaia di posti letto, e chiede più tutela per i lavoratori perché «turismo è lavoro».

Baristi, camerieri, bagnini, tuttofare in spiaggia: un esercito di sfruttati. «A livello abruzzese, il 23% dei lavoratori del settore è in nero», spiega Urbano, «nella sola provincia di Pescara, l’Ispettorato del Lavoro ha rilevato irregolarità in due terzi delle imprese controllate, significa circa il 67%, numeri che testimoniano un fenomeno sistemico e inaccettabile». E i controlli dell’Ispettorato del Lavoro, a causa della carenza di personale, spiega il segretario Filcams, hanno riguardato appena il 5-6% del totale delle imprese. «È chiaro che c’è un problema», dice Urbano, «questo è almeno “lavoro grigio”: parliamo di lavoratori assunti a 12-14 ore settimanali, al massimo 20 ore, che poi però ne svolgono addirittura 54 senza neanche giorno di riposo: dobbiamo iniziare a garantire la dignità a questi lavoratori».

Eppure un calcolo matematico banale potrebbe svelare il cortocircuito del turismo: «Faccio una provocazione», dice Urbano, «verifichiamo le attività di salvamento, il lavoro in spiaggia e anche nella ristorazione all’interno degli stabilimenti balneari e valutiamo quante ore di lavoro sono necessario e quante ore effettivamente sono contrattualizzate; incrociando questi dati potremmo vedere se i conti tornano oppure no. Per esempio, se il servizio dei bagnini è necessario 12 ore giornaliere, è evidente che non dovremmo trovare contratti per 8 ore al giorno a meno che di lasciare il servizio scoperto».

La campagna della Cgil con gli ombrelloni rossi in spiaggia è al quinto anno di fila: «Siamo qui per denunciare, come sempre, le troppe irregolarità di chi lavora nel turismo e per informare sui diritti gli addetti», dice Urbano. E dalla foce del fiume Saline, con gli hotel che si allungano verso il cielo, la Filcams Cgil chiede un cambio di mentalità: «Turismo è lavoro», predica Urbano, «e non un lavoretto». E se questa è la premessa, l’appello del sindacato è rivolto soprattutto ai vertici della Regione Abruzzo: «C’è bisogno di un protocollo sul lavoro del comparto, di un lavoro di squadra che coinvolga Regione, Ispettorato del Lavoro e associazioni datoriali. Il lavoro stagionale è un lavoro a pieno titolo e tale deve diventare per i tanti ragazzi, e non solo, impegnati nelle varie attività. La stagione turistica, vitale per l’economia costiera, dev’essere fondata sul rispetto della legge e della dignità dei lavoratori». Altrimenti, sottolinea Urbano, l’estate diventa soltanto un’occasione di guadagno extra ed esentasse per gli imprenditori sleali: «Tutto questo fa comodo a quegli imprenditori che abbattono il costo del lavoro e, nell’abbattere il costo del lavoro, traggono maggior utile dalla stagione». E il sindacalista racconta: «Lo scorso anno ci siamo trovati con una grande azienda che opera nel settore del turismo che non erogava il trattamento di fine rapporto ai dipendenti. Poi, quando i lavoratori andavano a richiederlo, magari per il tramite di un’organizzazione sindacale, l’impresa garantiva il tfr e lo pagava: insomma, se non me lo chiedi io non te lo do. E tutto questo accade perché purtroppo non c’è informazione».

I dati sulle presenze turistiche dell’estate in Abruzzo non ci sono ancora ma la Cgil fa la sua previsione: «Le spiagge libere ci sembrano sempre più piene e gli stabilimenti sempre più vuoti», dice Urbano, «la domanda è: un imprenditore come e dove può risparmiare? Se non può tagliare sulle forniture, è possibile che andrà a risparmiare sul costo del lavoro: ecco che si genera un circolo vizioso e, quando un giovane entra in questo mercato, si sente quasi obbligato ad accettare l’assenza di regole e diritti», afferma il segretario Filcams. È quasi una minaccia psicologica, la filosofia del “qui si è sempre fatto così”: «È deprimente», conclude Urbano, «quando nei nostri uffici vediamo arrivare dei lavoratori, spesso giovani, che ci raccontano di com’è andata la loro stagione e ci mostrano contratti totalmente illegali ma, nel parlare con noi, ci fanno percepire che per loro il mondo del lavoro è proprio quello e invece devono capire che non è così».