Un’impresa su quattro è donna, in Abruzzo sono quasi 32mila

26 Dicembre 2025

Il tasso di aziende femminili proietta la nostra regione al terzo posto in Italia, dai servizi all’agricoltura

L’AQUILA. In Abruzzo l’impresa ha sempre più spesso un volto femminile. Oltre un’azienda su quattro è guidata da una donna: il 25,9% del totale regionale, pari a 31.945 imprese su 123.132. È uno dei dati più alti d’Italia, secondo solo a Molise e Basilicata, e racconta una storia che nasce soprattutto nei piccoli centri e nelle aree interne, non nei grandi distretti industriali. Qui l’imprenditoria femminile cresce nei servizi, nel commercio, nell’agricoltura e nell’accoglienza, diventando un presidio economico e sociale essenziale per territori strettamente legati alla dimensione comunitaria. Un quadro analizzato dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre che si inserisce in una tendenza nazionale altrettanto significativa con i numeri dell’imprenditoria femminile in Italia che restano i più alti dell’Unione europea. Nel 2024, le donne titolari di partita Iva hanno raggiunto 1.621.800 unità, pari al 16% del totale delle donne occupate, un valore che colloca il nostro Paese davanti a Francia (1.531.700 imprenditrici, incidenza del 10,8%), Germania (1.222.300, 6,1%) e Spagna (1.136.000, 11,3%). Un primato rilevante che, tuttavia, non cancella la principale fragilità strutturale del sistema italiano: il tasso di occupazione femminile resta il più basso dell’Ue, nonostante la crescita registrata negli ultimi anni.

A trainare questo dinamismo, secondo Cgia, sono soprattutto servizi e commercio. Sette imprese su dieci guidate da donne operano infatti in questi settori. Al 30 settembre 2025 il comparto con il maggior numero di aziende a leadership femminile è il commercio, con 288.411 attività, seguito dall’agricoltura (186.781), dagli altri servizi alla persona – come parrucchiere, estetiste, tatuatrici, lavanderie e attività di cura – con 136.173 imprese, e dall’alloggio e ristorazione (120.744). Un modello produttivo diffuso, spesso di piccola dimensione, ma profondamente radicato nei territori. Un quadro che trova piena conferma anche a livello regionale. «Le donne italiane e abruzzesi sono vere pioniere d’impresa: dal commercio ai servizi, dall’agroalimentare alla manifattura», sottolinea Giammarco Giovannelli, presidente di Confcommercio Abruzzo. «Accogliamo con orgoglio questo primato, che racconta la volontà, la capacità e la tenacia di tante donne che, spesso già madri e mogli, hanno saputo conciliare con sacrificio la vita familiare con quella lavorativa e aziendale. Confcommercio Abruzzo ha raccontato negli anni molte storie di imprenditrici straordinarie, esempi positivi non solo a livello regionale e nazionale, ma anche internazionale».

Secondo l’analisi fatta dalla Cgia di Mestre, il basso tasso di occupazione femminile in Italia è legato soprattutto al peso del lavoro domestico e alla carenza di servizi sociali e per la prima infanzia, ambiti in cui il Paese ha storicamente investito poco. In questo quadro, l’imprenditoria femminile rappresenta una leva decisiva: le donne che fanno impresa tendono ad assumere altre donne in misura significativamente superiore rispetto ai colleghi uomini, contribuendo ad ampliare l’occupazione femminile. Le motivazioni che spingono all’autoimpiego sono sia strutturali (legate a necessità economiche o occupazionali) sia motivazionali (connesse al desiderio di autonomia e realizzazione personale). L’autoimpiego consente inoltre una maggiore flessibilità nella conciliazione tra lavoro e famiglia e rappresenta spesso uno strumento efficace per rientrare nel mercato del lavoro dopo periodi di inattività, come quelli legati alla maternità.

L’imprenditoria femminile mostra anche una forte valenza qualitativa. Numerosi studi indicano che le imprese guidate da donne adottano modelli di governance più inclusivi, una maggiore attenzione alla sostenibilità di lungo periodo e una più elevata propensione all’innovazione organizzativa. Caratteristiche che non derivano da tratti “naturali”, ma da percorsi professionali spesso più complessi, che richiedono competenze trasversali e capacità di adattamento. In un’economia fondata sempre più su servizi avanzati, conoscenza e relazioni, questi elementi diventano un fattore competitivo. Inoltre, l’imprenditoria femminile è presente in sanità, istruzione, welfare, cultura e servizi alla persona, settori ad alto valore sociale e centrali per la coesione e la produttività.

Resta però un nodo strutturale: la difficoltà di accesso alle risorse finanziarie. Le imprenditrici incontrano maggiori ostacoli nel credito, minore accesso al capitale di rischio e reti professionali più deboli, oltre a un carico di lavoro di cura ancora sproporzionato. Ne derivano imprese mediamente più piccole e meno capitalizzate, non per limiti di capacità ma per condizioni di partenza asimmetriche. Da qui la necessità di politiche pubbliche più incisive: incentivi mirati, strumenti finanziari dedicati, servizi di accompagnamento e politiche di conciliazione non sono misure di settore, ma interventi strutturali a sostegno della crescita.

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