Palmoli

Famiglia del bosco, lo psichiatra Cantelmi: «Chiediamoci se sia stato giusto dividerla»

28 Dicembre 2025

Il caso di Palmoli. Il docente, nominato dai legali di Nathan e Catherine, sul rischio che i tre fratellini subiscano un trauma per il distacco: «Che idea possono avere questi bimbi di un padre, in precedenza affettuoso, al quale viene vietato il pranzo di Natale?»

PALMOLI. L’intenzione di proteggere può trasformarsi involontariamente in uno strumento di dolore, creando ferite invisibili laddove si cercava di portare salvezza. È il paradosso del bene, o meglio, di un agire istituzionale che, pur mosso dalle migliori premesse, rischia di scontrarsi con la fragile realtà emotiva dei minori. Il professor Tonino Cantelmi, psichiatra di fama e consulente di parte nominato dalla difesa di Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, assistiti dagli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas, è intenzionato a entrare nella vicenda della famiglia del bosco di Palmoli non con la spada sguainata della polemica, ma con il bisturi dell’analisi e della riflessione. Il docente, nominato da Papa Francesco nel 2020 membro del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, non cerca lo scontro frontale con il tribunale per i minorenni dell’Aquila o con i servizi sociali. Tutt’altro: ha la massima fiducia nell’operato delle istituzioni, anche alla luce della consueta collaborazione con chi ha il compito di vigilare. Nessuno – è il pensiero dello specialista – si è mosso con l’intento di nuocere. Tuttavia, è proprio qui che si annida il rischio maggiore: «L’urgenza di capire meglio nasce dal fatto che a volte un agire, intenzionalmente buono, possa essere invece traumatico in maniera significativa per i bambini e quindi non essere in grado di tutelare proprio il bene dei bambini».

Il ragionamento del consulente si articola attorno a interrogativi. La questione centrale riguarda le modalità dell’intervento dello Stato. In un contesto familiare dove non sono emersi episodi di violenza, abusi o maltrattamenti fisici, e dove al contrario si registrava un clima affettivo caldo e presente, la recisione netta dei legami e l’inserimento in una casa famiglia rappresentano davvero la soluzione migliore? «Siamo sicuri che questa modalità non abbia ricadute traumatiche a sua volta?», è l’interrogativo dello psichiatra, sollevando il timore che lo strappo improvviso dalle figure genitoriali possa costituire una frattura difficile da ricomporre.

La vicenda di Palmoli diventa così l’occasione per una riflessione più ampia, che trascende il caso di cronaca per toccare i fondamenti della tutela minorile. Cantelmi pone una domanda che va al cuore del problema: «Siamo sicuri che quanto stiano attualmente vivendo i bambini sia per loro comprensibile e non traumatico?». Come dire: un bambino non legge le ordinanze, non conosce i protocolli; un bambino vive di percezioni, di presenze e di assenze. E l’assenza improvvisa di un padre e di una madre, figure fino a ieri costanti e amorevoli, rischia di essere elaborata come un abbandono o una punizione incomprensibile.

L’esempio più doloroso di questa discrasia è il recente Natale. Il divieto imposto a papà Nathan di trattenersi per il pranzo del 25 dicembre, negando ai figli la possibilità di festeggiare con il padre, è un punto su cui soffermarsi: «Che idea possono avere questi bimbi di un padre, in precedenza affettuoso, al quale viene vietato il pranzo di Natale? Siamo sicuri che questo non sia davvero traumatico?». In assenza di quelle urgenze drammatiche dettate dalla violenza fisica, forse si sarebbe potuto optare diversamente: «Siamo sicuri che non ci fosse un modo alternativo di procedere?», è il senso della riflessione. Un percorso che permettesse di correggere eventuali criticità abitative o educative senza passare per il trauma della separazione coatta. Le domande poste da Cantelmi non pretendono di avere la verità in tasca, ma chiedono riscontri che vadano oltre la burocrazia. «Siamo tutti alla ricerca di un equilibrio virtuoso», è il suo pensiero, «e nessuno può pretendere di avere le risposte giuste».