Palmoli

Il caso della famiglia che vive nel bosco: così i genitori hanno fatto studiare la bambina

4 Novembre 2025

Il clamoroso caso giudiziario esploso a Palmoli (Chieti). Ecco il certificato: una scuola di Brescia ha attestato che la piccola è idonea per la terza elementare. In una lettera i genitori espongono la loro filosofia sul mondo e sull’apprendimento spontaneo

PALMOLI. «Non ho letto fino all’età di 9 anni. Ora sono un autore pubblicato». Albert Einstein «non parlò fino all’età di 3 anni». La scuola convenzionale può creare «ansia e auto-giudizio», portare alla «depressione» e persino al «suicidio».

Le tesi sono radicali. Sono contenute in una lettera in cui i genitori, Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, espongono la loro filosofia educativa: un rigetto totale del sistema formativo occidentale. È l’elogio dell’apprendimento spontaneo, quello che «permette la maturazione del cervello» e «il naturale sviluppo dell’autonomia», lasciando che sia il bambino a decidere «ciò che è pronto ad apprendere e quando». La battaglia sull’istruzione è forse il capitolo più complesso nella vicenda dei tre bambini che vivono con i genitori nei boschi di Palmoli. Si tratta di una bimba di otto anni e di due gemelli di sei, un maschio e una femmina. È per loro che la procura per i minorenni dell’Aquila ha chiesto un intervento, ipotizzando un «grave pregiudizio» legato tanto alle condizioni abitative – un casolare senza acqua corrente o gas, secondo le relazioni – quanto alla mancata frequenza scolastica.

Proprio per dimostrare la validità del loro percorso, i genitori hanno depositato agli atti del tribunale un «certificato di idoneità alla classe terza» per la figlia maggiore. Da un lato, c’è la spiegazione appassionata dei genitori. Qui la madre, Catherine, 45 anni, australiana, presenta le radici profonde della sua scelta. Racconta di essere cresciuta in una «rigida famiglia cattolica», dove la scuola le fu «imposta» nonostante le causasse «depressione nella relazione con i coetanei e l'infelicità».

La sua visione del mondo si trasforma viaggiando come addestratrice di dressage d’alto livello. Non una turista, ma una professionista che, aggiunge, ha «allenato e formato reali» e «le persone più ricche del Giappone», lavorando anche in paesi come «Singapore, Germania e Australia». È in Malesia, Indonesia e a Bali che entra in contatto con un modello diverso. Lì, scrive, incontra «culture che vivevano ancora legate ai loro figli», bambini che mostravano «compassione, gentilezza, calma e consapevolezza» mai viste in Occidente. È da questa esperienza che matura la sua intenzione di crescere i figli in modo diverso.

La scuola convenzionale, secondo la madre, è un sistema fallimentare. «Si concentra sulla separazione dei bambini dai genitori, dagli anziani e dai fratelli», «controlla ciò che devono imparare» e usa un «sistema di ricompensa e punizione». L’unschooling, al contrario, citando come riferimento l’associazione italiana Laif, permette ai bambini di «prosperare con la guida di adulti maturi». Sottolinea che i suoi figli, nonostante questo approccio, «capiscono e parlano già con sicurezza in italiano e in inglese». Dall’altro lato, c’è la posizione dei servizi sociali, come emerge dalla relazione del 14 ottobre 2025. L’assistente sociale conferma la filosofia della coppia, scrivendo che i genitori applicano i principi dell’unschooling e che i figli «non possono frequentare liberamente altri bambini perché influenzabili».

Il documento descrive un rapporto teso e complesso con la famiglia. Dopo l’udienza di maggio, la coppia ha mostrato la «chiara volontà di non recarsi a colloquio». Per ripristinare i contatti, riporta la relazione, si è resa necessaria una «visita domiciliare a sorpresa con i carabinieri e il curatore dei minori». In quell’occasione, si legge, «la signora Birmingham ha assunto da subito un atteggiamento difensivo e a tratti oppositivo, rendendo difficoltoso il dialogo e impedendoci di avvicinarci alla loro dimora». Nonostante le difficoltà, in quella fase la coppia firma un «progetto socio-psico-educativo», che prevedeva incontri settimanali con una psicologa. Un progetto che, però, la famiglia abbandona quasi subito, rispondendo alla psicologa di «non essere più interessati». È in un incontro successivo che i genitori producono la documentazione per attestare il loro percorso. A questa filosofia di apprendimento libero, la coppia ha infatti affiancato un percorso di certificazione formale.

L’assistente sociale, nella relazione, dà atto che i coniugi hanno prodotto «il certificato di idoneità alla classe terza elementare» per la figlia maggiore.

Il documento fornito dai genitori, e allegato agli atti, è un attestato rilasciato il 1° luglio 2025. È intestato alla «Novalis Open School» con sede a Brescia, una scuola parentale basata sulla pedagogia di Rudolf Steiner. Il progetto educativo della famiglia Trevallion-Birmingham si presenta quindi composito: da un lato la difesa dell’unschooling come approccio quotidiano, dall’altro la scelta di una «scuola parentale» di ispirazione steineriana per la validazione ufficiale del percorso.

Sarà il tribunale, ora, a dover valutare se questo modello educativo, che unisce la libertà dell’apprendimento spontaneo alla certificazione di un istituto riconosciuto, sia sufficiente a garantire il diritto all’istruzione dei tre bambini.

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