La psicologa Parsi sulla famiglia nel bosco: «Genitori e figli vittime, il loro mondo è crollato»

26 Novembre 2025

La professionista torna sulla vicenda che ha scosso il Paese. Le conseguenze della separazione: «Disconoscimento dell’autorità genitoriale»

PALMOLI. Genitori e figli, entrambi «vittime» di un sistema, quello dei servizi sociali, a cui «mancano l’esercizio di un lavoro interdisciplinare che, mettendo insieme le competenze di psicologi, psicoterapeuti, neuropsichiatri infantili, sociologi e pedagogisti, avrebbe impedito decisioni disfunzionali di questo genere». È una valutazione che la psicopedagogista Maria Rita Parsi fa a malincuore rispetto al provvedimento di allontanamento dei bimbi dalla casa nel bosco di Palmoli. Una procedura che dovrebbe essere avviata solo in «condizioni eccezionali» e che invece è stata adottata per una famiglia «colpevole di aver scelto uno stile di vita “particolare”». Anche se la situazione familiare non è grave, sostiene Parsi, le conseguenze di questa separazione lo sono, perché «questi bambini stanno vedendo il mondo in cui hanno vissuto fino a ora crollare improvvisamente, da un giorno all’altro, e i propri genitori esautorati dalla loro autorità». Il suo ragionamento, però, parte da un aspetto finora passato sottotraccia.

Parsi, sono trascorsi diversi giorni dall’allontanamento e il ritorno dei bimbi a casa non sembra imminente. La madre vive con loro, ma separata. Il padre può vederli per qualche minuto al giorno: questa è tutela dei minori?

«La situazione di questa famiglia è sconvolgente. C’è un fatto di cui si parla poco, ma che racconta bene lo stato reale di questi bimbi, dell’educazione che hanno ricevuto dalla loro famiglia».

A che si riferisce?

«Al fatto che i tre bambini non hanno risposto in maniera drammatica a questa situazione. Anzi, sembra che siano sereni. Significa che sono abituati ad adattarsi, che hanno dei buoni equilibri interni. È in contesti estremi come questo che si vede il livello dell’educazione impartita dai genitori».

In altre parole, non è d’accordo con l’allontanamento.

«Figli e genitori sono tutti vittime di un sistema – questa è la verità più evidente – privo di criteri idonei ad approfondire, a capire chi ti trovi davanti. Perché per una famiglia a cui vengono tolti i figli, e mi sembra di poter dire che questi bimbi non subissero maltrattamenti, c’è un altro fatto di cronaca: racconta di una madre con problemi psichiatrici che uccide suo figlio dopo che i servizi sociali li hanno lasciati da soli anziché seguirli e partecipare all’incontro. E pensi che il bambino nemmeno voleva andarci dalla madre».

Lei dice: due pesi, due misure.

«Il punto è che c’è un cortocircuito totale, perché al centro di entrambe le vicende c’è la tutela del minore. O, almeno, ci dovrebbe essere. Quel bimbo, di 9 anni, aveva detto che non voleva andare dalla madre. Se davvero lo si vuole tutelare, si rispetta la sua volontà oppure si organizza un incontro in cui gli assistenti sociali sono presenti. E invece si è deciso di tutelare la genitorialità tanto per tutelare gli adulti. Poi c’è il caso opposto, quello della famiglia di Palmoli: bambini amati dai loro genitori che non soffrono nessuna carenza alimentare, affettiva o educativa, ma nei cui confronti viene adottato un provvedimento durissimo, che dovrebbe essere preso solo in condizioni gravi».

Non considera grave il fatto che questi bambini non vadano a scuola?

«Si è parlato tanto del problema dello studio, ma questi erano bambini che leggevano. Molto. I genitori per loro avevano deciso l’istruzione parentale e, come ha certificato il ministero ieri (due giorni fa per chi legge, ndr), erano in regola. Per me la scuola è un’agenzia educativa fondamentale, ma non vedo nulla di male in una scelta libera presa nel rispetto della legge. Quello che trovo grave, invece, è che siano stati strappati i figli a una famiglia la cui unica colpa è di aver pensato per loro un’educazione, una crescita particolare, a contatto con la natura».

Proviamo a spiegare quali siano.

«In primis, la svalutazione totale dell’educazione che hanno ricevuto. Ciò che abbiamo visto è un’autorità esterna intervenire per separare una famiglia abituata a fare tutto insieme. Adesso il padre non può vederli per più di 10 minuti al giorno, e soltanto all’esterno della struttura, la madre vive con loro, ma da separata in casa. Tutta questa situazione porta al disconoscimento dell’autorità genitoriale, improvvisamente esautorata dalle sue funzioni.

Cosa significa per questi bambini?

Che il loro mondo crolla. Di punto in bianco, il contesto sociale gli dice che i genitori non sono affidabili, ma non perché li maltrattavano, li denutrivano o li picchiavano. Niente di tutto questo. Viene puntato il dito contro l’educazione particolare che hanno ricevuto fino a quel momento era sbagliata».

Lei vede i genitori come delle vittime?

«Seppur in maniera diversa, sì, genitori e figli per me sono delle vittime. Gli adulti hanno il vantaggio di razionalizzare la situazione, capirla e battagliare per ciò che credono giusto. Per questi bambini, invece, è completamente diverso, perché ancora non hanno tutti gli strumenti per comprendere».

La ragione di questo cortocircuito?

«Mancanza di un lavoro interdisciplinare. Se agli assistenti sociali manca il consiglio della psicoterapia infantile, della neuropsichiatria infantile, se il giudice si vede arrivare dei rapporti “a misura” e non il frutto di un lavoro collettivo, questi sono i risultati. Sarebbe bastato far fare qualche disegno, qualche domanda e test a bambini e genitori per vedere che questi piccoli non erano in pericolo e che, semmai, il problema era soltanto modernizzare la struttura in cui abitavano».

Perché tanta gente si è schierata dalla parte di questa famiglia? Esiste una forma di pregiudizio nei confronti dei servizi sociali?

«Questa è una storia che dura da una vita. E sa perché? Perché manca una équipe interdisciplinare che gli aiuti, una squadra in grado di comprendere la singolarità di ogni famiglia».

Se avesse davanti i genitori, cosa gli direbbe?

«Di non amplificare la cosa, cercare di risolverla tra adulti. E poi parlare con le forze sociali per cercare di spiegare nel miglior modo possibile a questi bambini cosa sta succedendo. Infine, gli consiglierei di trovare un compromesso per far rientrare la situazione».

E a questi tre piccoli che direbbe?

«Di stare sereni, che l’obiettivo è soltanto verificare se sono felici o se provano qualche dispiacere. Soprattutto, gli direi che il modo in cui hanno vissuto fino a ora non è sbagliato, in alcun modo, e che se è passato questo messaggio, noi adulti ci scusiamo».

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