L’ultimo saluto ai 3 fratelli morti nell’incidente di Chieti, chiesa e piazza gremite: «Modello di famiglia unita»

Paese sotto choc per la tragedia di domenica. Don Erminio: «ci ha colpiti come vivessero andando sempre d’accordo e insieme»
GUARDIAGRELE. È pieno di voci il silenzio assordante di questa piazza radunata per l’ultimo saluto ai fratelli Bianca, Sergio e Maria Liberatoscioli, uccisi domenica scorsa in un incidente d’auto a Chieti da un conducente che andava a folle velocità. Mettiamo da parte le singole professioni che hanno dato notorietà a questa famiglia in paese così come fuori: a rompere una quiete surreale sono i richiami della memoria alla gentilezza e alla fratellanza per cui erano conosciuti. Tant’è che neanche il suono lento e grave della campana a morto, riesce a interrompere il linguaggio del ricordo.
Alle 15.30, con gli oltre 30 gradi all’ombra, tutto richiede rispetto, come l’ordine con cui i carri arrivano con i feretri in base all’età dei trasportati, così come sono indicati anche sul necrologio affisso sulle strade del paese. Ogni cosa al loro passaggio sembra paralizzare il Corso e il centro storico. Prima c’è Bianca, 88 anni, la prof di lettere dalla erre francese. Poi c’è Sergio, 83, il medico del laboratorio analisi di quello che era l’ex ospedale. Infine Maria, 81, l’altra prof di lettere: abitava a Chieti ma aveva il cuore piantato nel palazzo di famiglia in via Modesto Della Porta, dove i sette fratelli sono nati e cresciuti a due passi dalla villa comunale e dalla casa del poeta dialettale.
Tutt’intorno è lutto cittadino. I negozi sono chiusi e la bandiera del Comune è a mezz’asta nel palazzo municipale, dall’altra parte del caseggiato. Piazza Santa Maria Maggiore forse è piccola per accogliere gli amici e i conoscenti, così come il duomo. Se non fosse per l'imponente folla che si manifesta alla fine delle esequie, sembrerebbe di assistere alla statio orbis di papa Francesco, quando in quel venerdì santo del 2020, il pontefice mandò suppliche e preghiere per l’umanità devastata dalla pandemia, tanta l’attenzione e l’affetto per queste tre bare.
Qui c’è tutto un popolo che si carica sulle spalle il peso di una nuova tragedia che, ancora una volta, ribalta quotidianità e abitudini: è fresco il disorientamento lasciato dalla morte di Nico Civitella, il vigile del fuoco guardiese strappato alla vita insieme al collega di Chieti, Emanuele Capone, entrambi 42enni. È passato poco più di un mese da quell’altra tragedia avvenuta durante un’esercitazione nelle forre dell’Avello di Pennapiedimonte, e la comunità ancora non si riprende. Lo si sente nell’aria, lo si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. E anche oggi, tutti insieme, ancorati a un salvagente per reagire a un nuovo choc, si rema controcorrente, stipati su una sola barca a dividersi il dolore comunitario e a distribuire vicinanza.
Domenica scorsa la tragedia con lo scontro frontale sul tratto di strada statale 565 in variante che lambisce lo stadio Angelini di Chieti da dietro. L’auto guidata da Sergio e con le sorelle a bordo presa in pieno dal conducente di un’altra vettura, il 27enne Thomas Lorenzo Bojan di Lettomanoppello. I fratelli muoiono all’istante, il giovane più tardi durante i soccorsi nell’ospedale di Pescara.
Nel duomo di Santa Maria Maggiore si sta stipati nella messa concelebrata. «Quando eravamo in piazza», esordisce il parroco, don Erminio Di Paolo, «e siamo entrati in questa collegiata, mi chiedevo se eravamo nella realtà. Sembrava quasi un film quello che è avvenuto e che stiamo vivendo. E invece è realtà. I nostri fratelli Sergio, Bianca e Maria, in un modo violentissimo sono stati chiamati al Cielo. Colpisce come fossero unitissimi nella vita e uniti anche alle loro esequie. Fratelli che ci ricordano che la nostra speranza è Cristo risorto e che in questa vita siamo chiamati a vivere la fraternità, la sororità, sul modello di Cristo come anche Sergio Bianca e Maria hanno vissuto. Preghiamo per loro e per le famiglie distrutte dal dolore». Poi le lettere dei nipoti e i ricordi dei sindaci di Guardiagrele, Donatello Di Prinzio, e di Montorio al Vomano, Fabio Altitonante, genero di Maria, accolti dagli applausi.
La messa è finita, dal duomo si scende in piazza. C'è da congedarsi per l’ultimo viaggio. Una mano tocca la bara di Bianca, una voce sussurra qualcosa a Sergio, un volto rigato ha un’ultima lacrima per Maria. È il valore della gentilezza fatta prossimità e che viene restituito. Quel garbo che riscatta dall’insensibilità che tiene sempre più incatenate le relazioni umane. Ma qui non c’è freno che tenga perché questi fratelli hanno dato ascolto a chi chiedeva la loro attenzione, hanno dispensato sorrisi e parole di conforto. E poiché questa gentilezza presuppone apprezzamento e considerazione, ecco che quando ciò diventa prassi, la società si contagia e trasforma modi di vivere e rapporti sociali. Come ha scritto papa Bergoglio nell’enciclica Fratelli tutti: “Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità”. I carri ripartono, ma la comunità fa fatica a sciogliersi: è quell’altro aspetto, il sentimento della fratellanza, che esce da questo nucleo familiare e che, in un giorno opprimente e torrido di fine primavera, diventa contagioso.
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