Capetièmpe, l’antica ricchezza di un popolo

2 Novembre 2020

Riedito da Textus il libro dello studioso sulmonese Monaco sui “Capodanni in Abruzzo”: i cicli della terra e le tradizioni

Capita a volte che un libro riesca a catturare la parte di un’anima. Di un’anima abruzzese, in questo caso e che perciò riecheggi nel tempo, come un contributo del quale la cultura – anzi più: l’immaginario collettivo – di una regione non possa fare a meno.
È il caso di “Capetièmpe- Capodanni in Abruzzo” del compianto professor Vittorio Monaco (Pettorano sul Gizio 1941–Larino 2009), libro che rivede la luce – affidato alle cure di Antonio Di Fonso e arricchito di una sezione sul cristianesimo popolare – in elegante volumetto, per i tipi di Textus Edizioni.
Cos’è Capetièmpe? È, come dice la parola peligna, il “Capo del tempo”. O meglio la successione dei vari capi che costellano l’anno e nei cui riti, improntati a straordinaria ricchezza e diversità, Vittorio Monaco individuava l’anima della sua terra. Parliamo quindi delle tradizioni folkloriche delle comunità di questa regione e in specie dell’area di Sulmona a volte sedimentati in proverbi, poesie, filastrocche, sequenze (come quelle della scurnacchiera di Introdacqua e dintorni) riportate a decine nel libro, e tutte rappresentanti celebrazioni gnomico-verbali. Chi era l’autore, prematuramente scomparso 11 anni fa? Era un docente di italiano e latino nelle scuole medie superiori, e un politico impegnato; un appassionato poeta e uno studioso.
Il suo Capetièmpe, uscito in prima edizione nel 2003, rappresenta una pietra miliare di etno-antropologia, sulle orme degli studi, vecchi di un secolo, dei peligni Antonio De Nino e Giovanni Pansa. Ma loro mappavano qualcosa di ancora vivo; Monaco invece partiva dal presupposto che da allora ad oggi tutta la società era irreversibilmente cambiata, sicché un cospicuo lascito culturale rischiava di andare perduto.
È lui stesso a consegnarci questa lucida preoccupazione: «La vita nei vari aspetti – religiosi, politici, sociali, familiari – è cambiata. Niente è più lo stesso. Il popolo, svuotato della sua cultura specifica, perde la identità e diventa massa. Delle sue tradizioni secolari, divenute presto obsolete, sopravvivono artificialmente solo le più curiose o spettacolari, piegate alla logica pubblicitaria del mercato turistico». E allora ecco l’amoroso recupero, da parte sua, dei riti e miti della Commemorazione dei Defunti e di Ognissanti, dove un’economia agraria – millenariamente assestatasi nella sua ciclicità, sino a farsi credere perenne e connaturata alla condizione umana – viene a fondersi con l’eternità religiosa; e poi il procedere di questi riti e miti verso i “capodanni” di San Martino, Santa Lucia, Natale; il loro traboccare, poco dopo il solstizio d’inverno, nel Primo dell’Anno, nell’Epifania, nel Sant’Antonio Abate, nel Carnevale, nella Quaresima e nella Pasqua.
Su questi ciclici frammenti di un discorso amoroso per l’Abruzzo, condensati in volume, abbiamo raccolto la testimonianza dell’editore Edoardo Caroccia, patron di Textus Edizioni. «Noi del comitato editoriale di Textus (che nel 2014 aveva già pubblicato, di Vittorio Monaco, Scritti sulla cultura e le tradizioni popolari abruzzesi) abbiamo ritenuto che Monaco abbia messo in luce aspetti legati a dimensioni profonde e ancestrali, in grado di sollevarsi dal contesto locale per collocarsi su un piano universale. Così il sottotitolo “Capodanni in Abruzzo”, col suo plurale vuole suggerire subito che lo studio non abbia a che fare solo col primo gennaio. Capetièmpe è carico di universalità e l’autore ne aveva saputo cogliere e restituire tutta la potenza. Il suo capo dell’anno è cioè un concetto che esula dal primo dell’anno o dal giorno dei morti, cui tradizionalmente nell’area peligna si annette il termine Capetièmpe; è un rito di passaggio e rinnovamento che celebra l’inizio di qualcosa di nuovo in tutto il mondo, a prescindere dalle fedi e dalle latitudini, a Pettorano sul Gizio come a Rio de Janeiro. In questo senso è anche una specie di sismografo dei tempi e oggi, dopo solo qualche mese dalla sua uscita, il volume ha assunto una valenza del tutto nuova in un periodo di crisi globale, veicolando un concetto di ripartenza. È come se fossimo tutti in attesa del prossimo Capetièmpe».
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