Jimmy D’Angelo, il fotografo dei vip: dall’Abruzzo fino all’Isola dei famosi

Cresciuto a Cerchio, lavora nella troupe di Canale 5 in Honduras: «Un reality difficile, non c’è finzione. Adinolfi mi ha sorpreso per la costanza, Matilde Brandi è una donna che non ha perso il suo fascino»
L’Isola dei famosi su Canale 5 è terminata da pochi giorni, confermandosi un programma dal grande share televisivo per milioni di italiani. Eppure in molti si chiedono se effettivamente tutto ciò che accade sia reale o se faccia parte di un copione recitato. Per rispondere a questa domanda e non solo ci pensa Giandomenico D’Angelo, detto “Jimmy”, un fotografo che, partito dalla sua Cerchio nella Marsica, si è ritagliato un ruolo da protagonista nello show business.
D’Angelo, subito una domanda diretta: l’Isola dei famosi è davvero così dura per i concorrenti?
«Assolutamente si. Sono tornato da pochi giorni dall’Honduras e le posso confermare che a livello fisico si tratta di una prova molto esigente. Vivi per quasi tre mesi in condizioni rigide, sfiorando i quaranta gradi di giorno e soprattutto privato di tutto. E non parlo solo del cibo. Molti personaggi normalmente sono abituati a vivere con i social e staccarsi dai propri telefoni è un dramma, soprattutto se vai avanti nel programma».
Questa edizione per lei è stata la seconda da fotografo dietro le quinte. Come si comportano i concorrenti? Cosa accade “fuori onda”?
«All’inizio li vedi tutti contenti, poi piano piano accusano le difficoltà della prova, alcuni deperiscono fisicamente, altri “sfarfallano” e la troupe, composta da fotografi, fonici e tutti gli altri operatori, vive accanto a loro giorno e notte senza poter interagire».
Infatti, i telespettatori vedono i naufraghi a ciclo continuo, ma loro come reagiscono alla vostra presenza? Provano a parlarvi? Vi chiedono aiuto in qualcosa?
«Noi professionisti, per contratto, non possiamo avere alcuna relazione con i concorrenti. Addirittura lavoriamo senza orologi per non far capire che ora sia o senza occhiali da sole per evitare che si specchino attraverso le lenti. Non possiamo parlare assolutamente con loro. È normale che, col passare dei giorni, avendoci accanto tentano un approccio, anche semplicemente dandoci il buongiorno la mattina, senza alcuna risposta da parte nostra. Mi è capitato di incontrare qualche personaggio fuori dal programma a un evento e, avvicinandosi, mi ha detto: “Allora parli, finalmente sento la tua voce”. Siamo quasi dei fantasmi per loro».
Qual è il concorrente che l’ha stupita di più per il suo percorso?
«Senza dubbio Mario Adinolfi. Alle presentazioni disse che avrebbe dimostrato cosa ci facesse un elefante in una cristalleria. Ha vissuto una grande evoluzione, non solo a livello fisico, ma anche relazionale. All’inizio nessuno poteva vederlo, al termine delle riprese tutti i colleghi lo hanno rivalutato umanamente».
Invece, tra le partecipanti, qual è stata la donna che, nonostante tutto, ha mantenuto lo stesso fascino per lei?
«Qui è più difficile trovare una risposta. Forse nella passata edizione Matilde Brandi. È sempre stata una bellissima donna e non ha perso nulla, sebbene segnata dalle fatiche e dalle privazioni».
Invece come vive la troupe durante le riprese?
«Dall’Italia partiamo circa in cento. C’è una struttura che ospita la redazione e tutti gli uffici di produzione. Lavoriamo a turni e, quando ho ore di pausa, vado al mare o visito gli incantevoli paesaggi dell’Honduras, anche perché oltre quello non c’è altro. Eppure è un modo fantastico per approfittare dell’occasione».
Lei però non viene dal mondo televisivo, bensì da quello dei paparazzi. Perché allora la chiamata di Mediaset?
«Proprio per la mia esperienza passata. In questo programma hanno bisogno di fotografi discreti, capaci di lavorare in contesti impervi tra rocce, piante esotiche, ogni tipo d’insetto, giorno e notte, mantenendo comunque una certa distanza».
E, a proposito di paparazzi, qual è stato il suo più grande scoop in carriera?
«Ne ho fatti diversi, per fortuna. Qualche anno fa, ad esempio, seppi che l’attore Alec Baldwin, dopo l’incidente sul set in cui perse la vita la fotografa di scena, era a Roma. L’ho beccato in una chiesa mentre pregava».
Invece il personaggio più difficile da fotografare?
«La difficoltà del mio lavoro non è tanto scattare una foto quanto sapere dove si trovi il vip. Ricordo una soffiata avuta su Jennifer Lopez a Capri. Tutti pensavano che fosse su qualche yacht di lusso, invece ascoltando i commenti degli isolani sono riuscito a trovare l’albergo dove stava. Con un collega siamo stati una settimana intera lì. La Lopez, ogni mattina, quando ci vedeva, ci salutava sorridendo».
Alquanto strano. Di solito il paparazzo è considerato invadente e mal accettato.
«Dipende dal personaggio. Ad alcuni non dà fastidio farsi seguire per tante ore, altri sono meno diplomatici. Ad esempio con l’attore Jason Momoa ebbi uno scontro perché non mi voleva attorno, stessa cosa con Leonardo DiCaprio a Roma. In quei casi devi essere bravo a restare a distanza, pur facendo bene il tuo lavoro».
Invece il servizio dei suoi sogni?
«Purtroppo è irrealizzabile. Avrei voluto fotografare Maradona. Qualche mese dopo la sua morte, però seppi che la moglie insieme alla figlia e al genero, l’ex calciatore Osvaldo, si trovavano a Roma. Li ho seguiti per un giorno intero fin quando la donna mi ha detto: “Chiedimi quello che vuoi, mi metto anche in posa ma lasciami libera”. Ricordo che ho fatto una foto sulle scale di piazza di Spagna con Osvaldo che indossava la 10 del Napoli proprio di Maradona».
Con l’avvento dei social in cui le star si sovraespongono, com’è cambiato il suo lavoro?
«Una domanda complessa (ride, ndr). È vero, una volta le star nascondevano la propria sfera privata, oggi sappiamo tutto di loro. Da una parte i social ci aiutano a localizzare i personaggi famosi, dall’altro lato ci tolgono il lavoro perché ci si serve direttamente delle foto postate da loro. Il mio settore si sta specializzando e restano attivi solo i fotografi di un certo livello».
Chiudiamo ripartendo dagli inizi. Quando e come nasce la passione per questo mondo?
«Ai tempi dell’università. Ho studiato Scienze motorie all’Aquila, ma non ho terminato il corso perché c’è stato il terremoto, mi sono salvato miracolosamente con il mio coinquilino e sono tornato nel mio paese, a Cerchio. Mio padre aveva la passione per i rullini e ho iniziato ad appassionarmi alla fotografia, partendo dallo sport. Ero il corrispondente del Celano in serie C e, conoscendo vari colleghi e testate nazionali mi sono fatto un nome. Da cosa nasce cosa, mi ha contattato un’agenzia di Milano che mi chiedeva di fare servizi per eventi a Roma. Poi è nato tutto, dalle partecipazioni al Festival del Cinema di Venezia al mondo dello show. Tutto con la passione di ritrarre momenti unici attraverso uno scatto».
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