Osho: «In Abruzzo sempre un’accoglienza straordinaria. Il premier perfetto per un governo della satira? Di Maio»

L'intervista a Federico Palmaroli, vignettista e fondatore della pagina facebook “Le più belle frasi di Osho”. Oggi alle 18 sarà a Teramo per la presentazione del suo ultimo libro satirico “Nun fate caso ar disordine”
TERAMO. Sarà oggi a Teramo, alle ore 18 nella “Sala New York” dell’Hotel Sporting (ingresso libero) per presentare il suo ultimo libro, Nun fate caso ar disordine (Rizzoli). Ma pensando a Federico Palmaroli si va subito con la mente a Le più belle frasi di Osho, la pagina Facebook che ha sconvolto la satira italiana nell’era dei social e che da dieci anni racconta la politica attraverso le sue vignette dissacranti «ma mai offensive» (come ama ripetere), alcune delle quali confluite in questa nuova pubblicazione.
Proviamo a dare una definizione di quello che fa: è un’artista? Un comico?
«Pensando alla struttura delle immagini che creo, siamo dalle parti di una vignetta tradizionale, ma la differenza rispetto ad altri è che io non so disegnare, quindi la scelta di lavorare sulle foto è solo per ovviare a questo limite. Dicono comunque che io abbia creato un linguaggio nuovo».
In cosa è nuovo?
«Non lo so, lo dicono gli altri. Io conosco la mia cifra stilistica, il mio umorismo si fonda sull’analogia. Racconto i fatti della politica nazionale e internazionale facendo parallelismi con il vissuto e il dialogo popolare. Le mie vignette nascono nel punto in cui queste due cose si incontrano».
Una delle ultime vittime della sua satira è stato Papa Francesco, che è anche la copertina di questo nuovo libro.
«Ho postato un video sulla mia pagina Facebook, in cui c’è il Papa che scansa il baciamano dei fedeli. Sembra finto, invece è successo davvero. Era il 2019».
Sotto i commenti c’è stato il finimondo. I credenti sono meno aperti alla satira?
«L’indignazione dei cattolici, quando tocchi una figura per loro sacra, c’è sempre. Francesco è stato un papa poco simpatico agli ambienti di destra, molto ben voluto a sinistra, apprezzato anche da qualche ateo. Ha messo d’accordo e in disaccordo un po’ tutti, perché è stato una figura trasversale».
Più interessante di molti politici.
«Su cui è anche più facile fare satira, oggi che la distanza tra elettore ed eletto si è così assottigliata. Forse anche perché il livello della politica si è abbassato, anche nel linguaggio. Pensa all’epoca di Forattini, quando fare satira voleva dire prendersela con una politica chiusa nei palazzi, molto distanti dal popolo. Invece con la religione è diverso, più stimolante».
Provoco: è più stimolante finché la fai con i cattolici. Farebbe una vignetta contro l’Islam?
«La satira contro alcune aberrazioni dell’islam la faccio anche io, per esempio quando lo scorso anno si aprì il caso di quegli studenti musulmani che non potevano studiare Dante a scuola perché offendeva la loro religione. Però quello è il fatto del giorno, che commento come qualsiasi altra cosa. Noi abbiamo il cattolicesimo come fede di riferimento, fare una satira contro Maometto in sé per sé non mi sembra molto sensato».
E la sua pagina è nata esattamente un mese dopo gli attentati alla sede di Charlie Hebdo. Era gennaio 2015.
«Ricordo bene, fu agghiacciante. Però, al netto delle ipocrisie, a me quelle vignette non facevano ridere».
Nanni Moretti diceva che «la satira non ha padroni, quindi sta bene sotto ogni padrone». È così?
«Padroni è un parolone. Ci sarà al massimo un condizionamento derivante dal proprio pensiero politico, e questo riguarda chiunque. Non esistono super-partes, ma nessuno è sotto padrone o almeno io sicuramente non lo sono».
La satira di destra, in Italia, è un’anomalia?
«Io sono emerso in un mondo in cui le persone di sinistra, nel mondo dello spettacolo e della satira, sono molte di più. Trovare una persona di destra che ha successo facendo vignette ha creato un cortocircuito, però oltre alle critiche ho anche tante persone che mi apprezzano. Qui in Abruzzo ricevo un’accoglienza incredibile, ho un pubblico affezionato. Ci torno spesso e sempre molto volentieri».
Insomma, le piace una regione governata da Fratelli d’Italia.
«Ma no (ride, ndr), è che la trovo culturalmente molto vicina al Lazio».
Ma l’accusa che le rivolgono, da ex anti-sistema, è di essere un meloniano.
«Lei ha mai visto una vignetta di Natangelo contro i Cinque Stelle? Oppure una di Vauro sul caso Soumahoro? Insomma, tutti hanno delle posizioni. Ma la mia linea mi porta ad essere moderato, mai feroce. Quindi se devo fare una vignetta sulla Meloni, la faccio senza problemi. Però se devo fare vignette sulla sinistra mi arrapo di più, sicuramente».
Ma è vero che la censura meloniana è più dura di quella di altri governi?
«Non direi. Credo che la sinistra sia più abituata alla satira, perché ha governato di più e si è abituata agli attacchi e alle parodie. Ora forse le cose stanno cambiando. Poi io penso che sia legittimo che qualcuno non gradisca una vignetta, una battuta. L’importante è rimanere nei limiti imposti dal buongusto ed evitare di finire in tribunale».
E i politici come reagiscono alle sue vignette?
«Con loro ho un ottimo rapporto da sempre, non so questo quanto sia positivo per chi fa satira. Ma come dicevo io non sono offensivo, quindi le mie vignette sono ben accolte. Poi sui social gli elettori di questo o quel politico sono, come si dice, più realisti del re».
Anche certi giornalisti.
«Ci fu una polemica con Scanzi, che nacque davvero dal nulla. Avevo partecipato a una cena elettorale di una candidata di Fratelli d’Italia ad Arezzo, con uno spettacolo che avevo fatto anche per eventi di altri partiti».
E quindi?
«All’epoca degli scontri tra Partito Democratico e Cinque Stelle, io facevo molte vignette sul PD. Scanzi le apprezzava, una volta lo incontrai negli studi Rai e mi fece molti complimenti. Dopo quella cena per Fratelli d’Italia mi accusò di soffrire di stipsi neuronale, mi chiamava Le migliori frasi di fascio».
Come è finita?
«Dopo queste accuse mi ha bloccato sulla sua pagina Facebook, non ho avuto possibilità di replicare ma continuava a postare contenuti contro di me. Credo che lì si sia sentito invaso nel suo territorio, non so spiegarmelo altrimenti».
Forse se la passa meglio con la politica estera.
«Assolutamente sì. La politica internazionale mi affascina molto, anche perché mi permette di essere più libero di fare satira senza essere bombardato da polemiche. Prima c’era Biden, una fonte infinita di spunti, preso in giro anche dai suoi. Adesso è Trump a farla da padrone, è sempre sui giornali e catalizza l’attenzione. Ed è fantastico farli parlare in romanesco».
Mi dica un paio di nomi irrinunciabili per un governo tecnico della satira. Chi potrebbe coprire un anno di vignette?
«Mi viene in mente Gentiloni, con cui ho iniziato e che si è sempre prestato alla parodia. Lui mi divertiva molto e sicuramente in un governo per la satira sarebbe perfetto. Con Salvini ho sempre giocato molto, è autoironico e da destra prenderei lui».
Va bene, ma manca un nome davvero forte che abbia il carisma del leader. Chi fa il premier?
«Anche se è uscito dalla scena politica, voglio Di Maio. È quello che mi manca di più».