Bartali e quella prima maglia rosa

Le 11 tappe nel capoluogo regionale, spesso decisive per la vittoria finale. Dalle due vittorie di Ginettaccio alla fuga bidone dello svizzero Clerici. Il primo arrivo nel 1914 nel 2005 trionfò Di Luca

L'AQUILA. Nulla è più come prima del sisma del 6 aprile di un anno fa, tranne l’entusiasmo degli appassionati di ciclismo e la sensazione di una giornata diversa, spensierata, annegata nel rosa del Giro d’Italia che per la dodicesima volta torna all’Aquila. Una collezione di sensazioni fortissime, culminata con la prima maglia rosa di danilo Di Luca cinque anni fa proprio qui, su viale Francesco Crispi; e tante imprese sportive che hanno fatto la storia della corsa rosa.

Dalla prima vittoria al Giro di Bartali, neoprofessionista di belle speranze; al bis l’anno dopo sempre sul traguardo del capoluogo regionale che gli valse la maglia rosa. Fu l’inizio di una cavalcata che lo portò a trionfare per la prima volta nella corsa rosa. E poi la fuga bidone di Carlo Clerici, la vittoria di Marco Pantani sul Gran Sasso, la prima di quattro e poi l’incubo di Madonna di Campiglio e il lungo addio del Pirata. Dal 1914 a oggi, l’arrivo all’Aquila ha regalato sempre sensazioni speciali agli appassionati. Alla vigilia del primo conflitto mondiale, la Grande Guerra, la sesta edizione del Giro fece tappa per la prima volta all’Aquila. Era una corsa molto diversa da quella attuale, solo otto tappe che misuravano mediamente 400 chilometri. La sesta, da Bari all’Aquila venne vinta da Luigi Lucotti che dette un distacco di circa 19 minuti al secondo arrivato, Durando, terzo Carzolari con lo stesso distacco. Nell’occasione quest’ultimo riconquistò il primato e lo conservò fino a Milano.

Bisognerà attendere 10 anni, complice la guerra, per rivedere i girini all’Aquila. Dodici tappe in tutto, quella che da Foggia portava al capoluogo era la settima e ancora una volta sarà decisiva per la vittoria finale. Arrivò primo Giuseppe Enrici della Legnano e conservò il primato fino all’epilogo di Milano. Enrici correva con Alfredo Sivocci, che sarà sull’ammiraglia dell’Atala di Vito Taccone negli anni Sessanta. Quel Sivocci che da ciclista ebbe sull’ammiragfia nientemeno che Enzo Ferrari, amico e socio del fratello Ugo, che lo accompagnò nella durissima Torino-Trento-Trieste nel 1919, l’anno dell’impresa di Fiume e chissà se in quell’occasione il futuro Drake dell’automobilismo sportivo conobbe D’Annunzio come risulta dall’autografo nel Ritrovo del Parrozzo di Pescara: “Enzo Ferrari, sansepolcrista (fascista della prima ora, ndr) e legionario di Gabriele D’Annunzio”.

Il poeta pescarese e la Legnano saranno protagonisti a vario titolo nelle successive, due sortite del Giro all’Aquila.

Nel 1935, all’esordio tra i professionisti si impose per la prima volta Gino Bartali, allora in forza alla Frejus. Il Giro lo vinse Vasco Bergamaschi della Maino, secondo il capitano della Frejus, Giuseppe Martano. Per il giovane Gino il settimo posto e il primato nel Gran premio della montagna. Un primo tassello per questa prima vittoria da scalatore fu proprio la tappa dell’Aquila. Partenza da Porto Civitanova per 171 km, vinse sì Bartali, ma la maglia rosa andò a Bergamaschi che non la mollò più. Ancora una volta la tappa aquilana fu decisiva per le sorti finali della corsa.

Il vero capolavoro Bartali lo portò a termine l’anno dopo, il 1936, nella Campobasso-L’Aquila, un tappone che annoverava il versaante del macerone che aveva spaventato Girardengo, Rionero Sannitico (come oggi), Roccaraso, San Benedetto. E’ l’anno del passaggio alla Legnano, l’inizio di una meravigliosa avventura che in quello stesso Giro ebbe una altro passaggio “abruzzese”. Lo ricorda Leo Turrini nella biografia di Bartali: la tappa di Gardone Riviera, che terminò proprio sotto il Vittoriale. «Gino vinse la tappa e quasi se ne pentì: il poeta lo tormentò con un incomprensibile monologo sui signficati della sua azione militare a Fiume, prima di congedarlo con un portasigari argentato».

Un lungo salto temporale e L’Aquila rivede i girini nel 1950. Cambia qualche protagonista, Gino Bartali ha nuovi rivali, non solo Fausto Coppi che cominciò con la Legnano prima del secondo conflitto mondiale. C’è anche Fiorenzo Magni e lo svizzero Hugo Koblet che vincerà quella edizione. La Perugia-L’Aquila è la 15ª delle 18 tappe del 33º Giro d’Italia che si concluse a Roma. Vinse Giancarlo Astrua della Taurea, la squadra dell’abruzzese Franco Franchi, originario di Poggio Morello frazione di Sant’Omero, professionista fino al 1955 e gregario di Bartali e Coppi. In quel Giro vinse la quinta tappa da Genova a Torino.

E’ il 1954 l’anno topico nella storia del Giro all’Aquila. La vittoria dello svizzero Carlo Clerici ha creato un neologismo per il mondo del ciclismo: la fuga bidone. Si impose nella sesta frazione della 27ª edizione, guadagnò oltre mezzora di vantaggio che nessuno riuscì a colpire, neppure il suo campitano alla Learco Guerra, Hugo Koblet. Nel 1965 a vincere fu Guido Carlesi della Filotex, era la seconda frazione della 48esima edizione che fu vinta da Vittorio Adorni.
Nel 1971 c’è una novità, la tappa aquilana si conclude sul Gran Sasso e a farla da padrone è lo scalatore spagnolo Vicente Lopez Carril del mitico team Kas. Nel 1985, sempre sul Gran Sasso, è la volta di Franco Chioccioli, in arte Coppino che nel 1991 vincerà la corsa rosa. Nel 1989 tocca al danese John Carlsen ma sono le ultime due volte all’Aquila a lasciare il segno.
Nel 1999, la vittoria di Marco Pantani nella tappa sotto una pioggia torrenziale partita da Pescara, faceva intuire un’altra cavlcata trionfale del Pirata. Collezionò altri tre successi, poi Madonna di Campiglio i valori ematici sballati e la discesi agli inferi. Tra le nevi del Gran Sasso uno degl ultimi acuti di un grandissimo campione, schiacciato da mille affanni.

E poi Di Luca. Su viale Crispi nel 2005 fa le prove generali in vista della storica vittoria rosa nel 2007. Quel giorno all’Aquila brucia Bruseghin sulla salita difronte alla Villa comunale mettendo per una volta d’accordo pescaresi e aquilani.

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