La storia

«Costretto a emigrare da Avezzano, in Svizzera ho trovato una nuova patria»

La storia di Roberto Cipollone partito dalla frazione di Cese. Lavorava in Alitalia: "Dovremmo cambiare il nostro Paese"

AVEZZANO. Come c’è arrivato lì? Se l’è chiesto quasi ogni giorno da quando, più o meno due mesi fa, ha passato a piedi la dogana di Ponte Tresa, direzione Lugano, assieme a un esercito di frontalieri. Sessantamila italiani che ogni giorno entrano ed escono dal Canton Ticino, dove si parla italiano ma non c’è Comunità europea, e i lavoratori devono farsi rilasciare il permesso “G” dall’ufficio stranieri. Roberto Cipollone, originario della frazione avezzanese di Cese per famiglia e vocazione, è arrivato in Svizzera dopo una valutazione di eccellenza (quarto su 600 in Europa) nei colloqui con Etihad e la controllata Regional, e un percorso di quasi dieci anni in Alitalia. Trasporto aereo, “revenue management” o gestione dei ricavi che dir si voglia.

leggi anche: Abruzzesi ovunque, la mappa: segnala dove sei, le associazioni e le feste a cura di Paola Toro e Giuseppe Boi Abruzzo terra di emigrati. Sono tanti i nostri corregionali che vivono in altre regioni italiane e all'estero. Così come sono tante le associazioni e i raduni che si svolgono nelle zone più diverse. Il Centro lancia un censimento: se sei un emigrato in un'altra regione italiana o nel mondo, se fai parte di un gruppo di corregionali e se organizzi delle feste e dei raduni, puoi inviarci la tua segnalazione e saranno inserite nella mappa qui sotto. Puoi anche inviarci foto, video e storie. Quelle più belle saranno pubblicate nel nostro giornale e/o nel nostro sito

«Nessun cervello in fuga, con la mente sono ancora lì» racconta «ma in Alitalia avrei rischiato di passare dalle eccellenze alle eccedenze per un puro calcolo anagrafico: ero il più giovane del mio team. Etihad Regional, invece, mi ha proposto un progetto molto interessante a condizioni che in Italia si trovano difficilmente». Con il desiderio e l’esigenza di dare sicurezza alla propria famiglia, ecco com’è arrivato a Lugano.

«La nostra storia professionale è molto particolare» prosegue Cipollone «mia moglie Sara è passata con la stessa precarietà e sorte dalla Micron ad altre aziende locali, da cui ancora attende notizie. Nel frattempo ho conosciuto la cassa integrazione e due anni fa ho vinto un concorso da statistico al Comune di Roma; solo che, ci crediate o no, le prime assunzioni si stanno concretizzando solo in questi giorni».

È un ragazzo disincantato, Roberto, un papà che ha messo da parte ammennicoli e ideologie spicciole senza dimenticare la propria storia, ed i progetti che lo legano a Cese ed alla Marsica. «Da mio padre ho ereditato la passione per la storia locale, da mia madre l’amore per la scrittura» aggiunge «una combinazione che non poteva che tradursi in ricerche e libri». Raccolte di racconti, progetti editoriali, premi istituzionali, e già due monografie sull’umanista Pietro Marso e sui Caduti e le vittime di guerra di Cese.

La terza uscirà a breve, con un libro scritto a quattro mani proprio con il padre Osvaldo. «Volevamo scrivere qualcosa insieme, così due anni fa abbiamo cominciato a raccogliere documenti e rieditare testimonianze sul terremoto del 1915, portando alla luce diverse fonti inedite» ricorda «un lavoro di pura dedizione in cui abbiamo messo la voglia di raccontare il lato umano di quella terribile vicenda». “Una cicatrice lunga un secolo”, questo il titolo della pubblicazione che sarà presentata sabato 17 gennaio; un gesto d'amore per il proprio paese, che oggi sente lontano solo geograficamente. «Ho sempre pensato che una relazione sia fatta necessariamente di contatto, di reciprocità. Per questo il mio legame con Cese e il nostro territorio non è cambiato molto, negli ultimi mesi. Noi marsicani ci portiamo sempre dietro il meraviglioso fardello dell'appartenenza, e Cese in particolare riesce a legarti a sé in maniera profondamente umana; da parte mia, sto cercando di mantenere intatto l'impegno con le associazioni del paese nonostante la distanza».

La stessa che Sara e Gabriele, il loro bimbo di due anni, stanno condividendo con lui: «Non è facile, contiamo sulle nostre forze, sull'affetto delle nostre famiglie e sulla voglia di realizzare quei progetti che oggi sembrano sospesi, congelati». La determinazione marsa sembra accompagnare anche questo percorso comune, dentro cui Roberto dice di aver portato la professionalità e la capacità di adattamento che in molti, all'estero, riconoscono ai giovani italiani.

«Non ho mai valutato scelte ed esperienze sulla sola base della convenienza e del vantaggio economico, e così è anche oggi; credo piuttosto che ognuno debba ascoltare le proprie aspirazioni, secondo una personalissima scala di priorità. Molti dei miei amici oggi lavorano all’estero, dove hanno trovato apprezzamento e condizioni che oggi l’Italia non garantisce: logico, naturale, perfettamente sensato andare via. Eppure continuo a pensare che anziché cambiare Paese, potremmo provare a cambiare insieme il nostro; magari partendo da un villaggio di seicento anime».

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