L'AQUILA

Furto nella casa inagibile dal terremoto, condannato lo “sciacallo” 

La Cassazione riconosce il valore affettivo dei beni e non concede sconti di pena. Il 31enne aveva portato via con complici gli arredi dall’abitazione chiusa dal 2009

L’AQUILA. Rubare, anche sette anni dopo il sisma, in una casa resa inagibile dal terremoto del 2009 resta un fatto grave che va persino oltre il valore economico del “bottino”. Lo stabilisce la Cassazione che ha confermato la condanna inflitta a un cosiddetto “sciacallo”, M.D.G. di 31 anni di Roma che insieme ad alcuni complici nel 2016 si era introdotto in una abitazione dell’Aquila rubando arredi e tentando di portare via anche una cucina.
L’imputato aveva chiesto l’assoluzione o, al peggio, la riduzione di pena per la «tenuità» del reato.

«Con la sentenza impugnata la Corte d’appello dell’Aquila», scrive la Cassazione, «aveva confermato la condanna di M.D.G. per il reato di furto in luogo di privata dimora. La stessa sentenza aveva rilevato che il furto, consistito nella sottrazione di alcuni arredi, era stato perpetrato all’interno di un immobile dichiarato inagibile a seguito del noto evento sismico che ha colpito L'Aquila e che dunque non era abitato, nemmeno saltuariamente, bensì abbandonato da sette anni».
Il ricorso dell’imputato si basava sul fatto che la Corte d’Appello aveva, sbagliando, «fondato la propria decisione esclusivamente sul valore intrinseco delle cose rubate non valutando l’effettivo pregiudizio economico sofferto dalla persona offesa», pregiudizio che secondo l’imputato sarebbe stato basso o nullo.

Il ricorso è infondato, scrive la Cassazione, perché «l’insegnamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, di cui la Corte d’Appello dell’Aquila ha fatto corretta applicazione, è nel senso per cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 624-bis (che punisce chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa) non è consentito attribuire rilievo alla mancanza di attualità dell’uso domestico dell’immobile in cui è stato commesso il furto. In tal senso la nozione di privata dimora riguarda anche l'immobile che – seppure non abitato e in cattivo stato di manutenzione – non sia abbandonato. È dunque irrilevante che fattori esterni indipendenti dalla volontà del titolare dell’immobile impediscano nell’attualità la sua utilizzazione, mentre la costante presenza, nel caso di specie, al suo interno degli arredi è stata correttamente interpretata dai giudici del merito come il sintomo dell’intenzione del proprietario di conservare uno stabile rapporto con il bene nell’attesa – o anche solo nella speranza – di poterlo nuovamente abitare.

La sentenza ha escluso quindi la non punibilità e le attenuanti invocate dall'imputato proprio per l’entità del danno» ancora attuale «arrecato alla persona offesa, posto che l’oggetto del tentativo di furto era costituito dall’intero arredo di una cucina». Nulla quindi rileva il fatto che «l’appartamento della persona offesa era stato oggetto in passato di altre incursioni predatorie e fosse agevolmente accessibile».
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