Gli studenti in fuga dalla città

Tredicimila ragazzi fuori sede alla ricerca di un mezzo per andare via

L’AQUILA. La fuga degli studenti comincia pochi minuti dopo il terremoto, con le telefonate allarmate dalle case di tutta Italia e dall’estero ai ragazzi che hanno scelto l’Aquila per studiare. Di 27 mila iscritti, la metà sono fuori sede: tredicimila ragazzi che alle prime ore di ieri cercano di lasciare la città distrutta con tutti i mezzi, muovendosi a piedi, con borse a valige, alla ricerca di un pullman, di un treno, di un’auto diretti verso Roma o verso la costa.

Le prime avvisaglie della grande ritirata dalla città in cui la Casa dello studente è crollata travolgendo i ragazzi, sono chiare lungo la strada che da Popoli corre verso Navelli, fino a raggiungere L’Aquila. All’autogrill di Capestrano, due ragazze si abbracciano strette. «Abitavo al quarto piano dell’albergo Grande Hotel, in un appartamento, assieme ad altri ragazzi» racconta Ilenia Larpitelli, di Monte Urano, in provincia di Ascoli Piceno, iscritta a Scienze dell’Investigazione. «Alle 3.32 la scossa mi ha svegliata: venivano giù specchi, l’armadio quasi mi cadeva addosso. Fuori c’era un sacco di fumo, cumuli di calcinacci e macerie: siamo andati alla villa comunale, in uno spazio aperto. È stato bruttissimo». Ilenia ora torna a casa. Alle 4 del mattino, suo padre Andrea si è messo in macchina: «Alle 5.30 sono arrivato: lungo i viadotti si erano formati scalini» racconta l’uomo, «è stata una corsa contro il tempo». «Ma alle 7 a L’Aquila c’era gente che girava a torso nudo, e nessuno neppure a dargli una coperta. È stato l’albergo ad aiutarci» dice Ilenia con rabbia, «e alla Casa dello studente, alle 7, erano solo in due a scavare». Anna Lombardi e Claudio Alagna vengono da Marsala, in Sicilia. Abitavano in via XX Settembre, una delle zone più colpite: vanno ad Ascoli, con l’amica che li ospiterà: «Abbiamo sentito un boato fortissimo e siamo scesi in strada: abbiamo visto molti ragazzi buttarsi dal primo piano perché erano rimasti bloccati all’interno. Adesso andiamo nelle Marche, poi appena potremo prenderemo un volo per tornare a casa».

«Abito in una casa al quarto piano, a Pettino. Stavamo dormendo, io e il mio fidanzato, quando abbiamo cominciato a sentire un gran rumore e il fracasso dei bicchieri caduti a terra» racconta Silvia Bascelli, 19 anni, studentessa universitaria, l’aria scossa. «Ci siamo riparati sotto la porta, poi abbiamo preso giubbino e cellulare e ci siamo precipitati di corsa per le scale anche se c’era il rischio che crollassero. Poi sono arrivate nuove scosse. Mia madre mi ha chiamato da Chieti, dove vivo, per assicurarsi che fosse tutto a posto». Racconta il fidanzato Alessio Colagreco, 22 anni: «Quando siamo usciti, qualcuno ci ha gridato: “Siete pazzi? Dove andate?”. Volevo recuperare degli oggetti personali, ma non ci sono riuscito».

I segni del sisma sono visibili già a Capestrano, dove il terremoto ha reso inagibile la chiesa nella piazza del Mercato, provocando lo sfollamento di tre famiglie. Gravi danni anche alla casa del sindaco Antonio D’Alfonso, dove sono venuti giù i calcinacci, così come al bar, alla macelleria e al negozio di alimentari: «Ho sentito un rumore sordo e visto il letto che ballava», racconta il titolare Giuseppe Di Bernardo, in mezzo ai cocci delle bottiglie. Il viaggio tra i paesi è un racconto di paura e distruzione. Il paesaggio è spettrale quando si incrocia Castelnuovo, dove le macerie invadono la Statale 17, e soprattutto Onna, cancellata dalla geografia. Il centro di San Pio delle Camere, il paese dell’ex presidente del Senato Franco Marini, ha resistito. Tutt’altra storia a Barisciano, 1800 abitanti, rimasti senza luce per ore. «Siamo in strada dalle 3 e mezzo», raccontano Sonia Furbesco e Donatella Pacifico, «in una parte del paese sono caduti i fili elettrici e qualche casa è venuta giù». «Siamo usciti di casa solo alla fine della scossa, ci siamo organizzati per coprire la bambina» dice Antonio Di Paolo:. Il sindaco Domenico Panone non trattiene le lacrime: «Al quartiere Tricaglio si sono verificati dei crolli. Solo una persona è rimasta ferita scappando, ma qualche vecchia casa è distrutta. Ma anche in quelle integre nessuno vuole tornare». Avvicinandosi all’epicentro, quello che resta del centro storico di Paganica si può vedere solo guardando da lontano: carabinieri, agenti della Finanza, poliziotti e personale della Protezione civile ha bloccato ogni accesso alla zona dei crolli. Neppure i residenti che chiedono di tornare a casa almeno per prendere i propri ricordi e qualche vestito, vengono lasciati passare. In paese, la gente non sa se i morti siano quattro o cinque. «Uno era il padre del mio socio all’officina: un signore anziano che è stato sorpreso nel sonno ed è rimasto sotto le macerie» fa Giuseppe Zugaro. Ma il simbolo del terremoto è la chiesa di via Fioretta, che sorge di fronte alla villa comunale, con l’antica facciata squarciata che minaccia di staccarsi dal corpo dell’edificio. I militari la cingono con le sedie del bar e impediscono di avvicinarsi: «C’è il rischio che venga giù». Alle 16.30, un mezzo della Protezione civile arriva scortando i tecnici della Telecom che poco prima erano stati rimandati indietro: «Devono entrare in centro, perché è necessario far funzionare i telefonini», spiega il funzionario al capitano della Guardia di finanza. Nelle tre frazioni di Paganica, Tempera e Bassano, sono circa 2500 le persone rimaste senza casa.

Arrivati a L’Aquila, l’esodo degli studenti diventa visibile: si muovono verso il campo sportivo, dove è stato inizialmente indicato un centro di raccolta, poi convergono verso il campo di Piazza d’armi. Ragazzi e ragazze con i trolley, giovani con sacchi in spalla che camminano rapidi sotto il sole: «Io vivevo in via San Martino» racconta Isacco Cannas, studente in Psicologica di Oristano. «Ho visto ragazzi imbiancati e insanguinati vicino al convitto nazionale, la gente urlava: “la casa è crollata”. La casetta vicino al Tropical bar ora è una maceria, sotto c’era qualcuno che si faceva sentire, poi ho visto estrarre un paio di cadaveri. Appena capisco come muovermi, vado a Teramo o a Roma».