L’intervista a Dacia Maraini: «L’orsa Amarena è morta perché tradita dall’uomo»

La scrittrice al Centro: «Abituati a crederci superiori a tutto, la conoscenza è la risposta. Dobbiamo imparare dalla scienza, che ci permette di capire quanto siamo simili a loro»
SAN BENEDETTO DEI MARSI. Quando guarda al 31 agosto 2023, Dacia Maraini si commuove. Dalle sue parole traspare tutto il dolore e lei, da scrittrice che ha indagato a fondo l’animo umano, non può fare a meno di scorgere quella «presunzione» che diventa «dominio» celata dietro l’uccisione dell’orsa Amarena. Perché nella stessa notte di oggi, ma due anni fa, a San Benedetto dei Marsi, Amarena fu uccisa brutalmente a colpi di fucile. Fino ad allora era stata protetta e amata dagli abruzzesi, al punto da diventarne il simbolo: le sue pacifiche scorribande tra i paesi della Valle del Giovenco alla ricerca di frutta l’avevano resa una vera star, i turisti venivano da tutta Italia per vederla. La sua uccisione fu un choc e il caso divenne subito nazionale. Maraini, che ha casa a Pescasseroli – ormai è un’abruzzese acquisita – sa bene che in tutti noi c’è «una parte di egoismo e crudeltà», l’antidoto è «negli strumenti che li tengono a bada».
Amarena non temeva di stare in mezzo agli uomini, gli stessi che poi l’hanno uccisa. Qual è stato il significato di quell’atto?
«Un tradimento. E tradire la fiducia di un essere vivente per me è un crimine. Come abbandonare un cane che ci ingombra, come uccidere un gatto perché non sappiamo più che farne. Il povero orso si era fidato degli uomini che lo trattavano con amicizia. Tradire quella fiducia per me è stato un delitto».
Tradimenti e delitti sono azioni che nascono dalle nostre peggiori passioni. La sua uccisione ci interroga come esseri umani?
«Se gli orsi scendono dalle loro montagne è perché stiamo bruciando e distruggendo il loro ambiente naturale. Ma gli orsi, più di altri animali selvatici hanno una memoria di convivenza con l’uomo e non hanno quella paura che fa scappare gli altri animali selvatici. Per questo il tradimento è ancora più atroce. Gli orsi mariani poi non hanno mai aggredito l’uomo da cui sono stati sterminati. Ne sono rimasti pochi e quei pochi cercano di sopravvivere. Ma alla fine viene sempre fuori l’arroganza e la presunzione degli esseri umani. Noi ci sentiamo i padroni di questa terra e non pensiamo mai che senza gli animali, anche solo senza quell’umile insetto che è l’ape la vita per noi cesserebbe. Ci sentiamo superiori a tutto e poi un giorno arriva un minuscolo misterioso virus e ci stupiamo che non riusciamo a fermarlo né a impedire che porti morte e distruzione. Dobbiamo imparare a essere più umili e pensare che in questo mondo ci dobbiamo vivere tutti insieme. San Francesco considerava i lupi fratelli, come l’acqua e il sole. Prendiamo esempio da lui. E lo dico da laica».
Per Amarena la convivenza con gli uomini non era un problema. Siamo noi uomini a vivere questo rapporto come problematico. Perché?
«Siamo stati abituati, nella nostra grande presunzione, a ritenere che gli esseri umani siano superiori a tutto e abbiano il diritto di uccidere fare stragi di animali. Ma è una mentalità perversa, inumana. Purtroppo la Chiesa ci ha abituati a pensare che noi possediamo un’anima, gli animali no. Per questo avremmo il diritto di ucciderli. Quando ci fanno comodo perché ci nutriamo delle loro carni, o perché fanno da guardia li lasciamo in vita, altrimenti li sopprimiamo come esseri inutili».
Fa strano pensare all’uccisione di un animale che è un simbolo dell’affettività. Basta pensare ai tanti bambini che abbracciano un orso di peluche per andare a dormire. È diventare adulti che ci cambia in peggio?
«Credo che anche i bambini possano essere crudeli. Non uccidono le lucertole? Non ammazzano qualche volta i gatti? Tutti abbiamo una parte di egoismo e crudeltà dentro di noi. Ma la cultura, l’educazione, la conoscenza, sono gli strumenti per tenere a bada i nostri istinti aggressivi ed egoistici e trovare una etica da condividere».
Pensa che da allora il nostro rapporto con l’animale sia migliorato?
«In parte è migliorato, soprattutto per le scoperte che la scienza ha fatto. Più conosciamo gli animali e più scopriamo somiglianze, affinità e complessità. Scopriamo perfino che hanno un linguaggio, a noi magari sconosciuto, ma che permette loro di comunicare e creare sistemi di sopravvivenza e di solidarietà che mai avevamo immaginato. Purtroppo molti non ci sentono da questo orecchio. Continuano a pensare in termini di dominio e proprietà. Pensi agli allevamenti intensivi che sono un obbrobrio, fatti di crudeltà che fanno male al cuore per chi ha un minimo di rispetto per gli animali. Io sono vegetariana e non mangio carne, ma non pretendo che tutti facciano come me. Rispetto i carnivori, ma non rispetto gli allevamenti intensivi che sono luoghi di orrore, peggio dei campi di sterminio nazista».
Accanto alla parte di popolazione che guarda agli animali in termini di possesso e dominio cresce una generazione che è molto più sensibile e rispettosa. C’è speranza?
«Come ho detto è la scienza che ci ha portati a comprendere meglio gli animali. La scienza ci dice che hanno tanto in comune con noi: sensibilità, intelligenza, affettività, ma anche aggressività, odio, rancori, ecc. I giovanissimi, più vicini alle nuove scoperte scientifiche, sono più attenti alla vita degli animali. Altri sono ciechi e sordi di fronte alle sofferenze degli esseri viventi. Pensano di essere il centro dell’universo e e in quanto tali ritengono di potere possedere, torturare, uccidere chi vogliono. Ma spesso chi disprezza e tratta male gli animali lo fa anche con gli esseri umani. Quando manca la coscienza dell’altro e l’empatia, tutto precipita, perfino il rispetto e l’amore per se stessi».
Gli anniversari sono sempre opportunità di riflessione. A due anni dalla morte di Amarena, c’è un insegnamento da trarre dalla sua vicenda?
«C’è da imparare dalla conoscenza sempre più estesa degli animali che, come ho detto, sono molto più vicini e simili a noi di quanto abbiano pensato finora. Penso che come l’essere umano, anche l’animale abbia una sua sacralità che va rispettata. Non parlo di fede ma di empatia e comprensione».