Ospedale, un altro sisma

Viaggio nei reparti ancora in tende e container.

L’AQUILA. Nell’ospedale dei 50 certificati medici al giorno per malattia, fatti da altri dottori per i loro colleghi dipendenti e per gli infermieri stressati dal terremoto, le tende non si smontano. Anzi. Quelle del laboratorio analisi da blu stanno diventando azzurrine. Ma nessuno le smuove. Sette mesi dopo il sisma, viaggio in ospedale tra tende, container, cani randagi a zonzo e incertezza sul futuro.

IN TENDA, ANCORA. Lasciare l’auto a mezzogiorno e mezzo vicino al «San Salvatore» è un’impresa titanica, come e più di prima. Terremoto o meno, su questo è cambiato poco o nulla. Entrando lateralmente all’accesso principale, quello crollato la cui foto ha fatto il giro del mondo, c’è subito una fila lunga così per i reparti della diagnostica per immagini. Davanti a Tac e risonanza c’è gente seduta e gente in barella: sono le urgenze. Percorrendo un lungo corridoio e seguendo cartelli scritti a penna si arriva al piano superiore che si è salvato dai danni più gravi. Qui gli ambulatori hanno aperto e funzionano. C’è gente in attesa e personale in affanno. «Tanti stanno in malattia», dice un’infermiera che si chiude dietro una porta e che si copre la bocca quando parla, proprio come fanno i parlamentari che dialogano al cellulare davanti alle telecamere. Si sente il contapersone dei ticket. Sembra una giornata come le altre, come prima del 6. Ma basta alzare gli occhi e ci si accorge che non è così.

Le transenne nel grande atrio centrale di fronte al vecchio ufficio informazioni stanno così da sette mesi. Per chiedere dov’è ricoverato un amico non sai dove andare. Informazioni e centralino sono nelle tende, ma senza computer si riesce a fare ben poco. E una cosa banale come un prelievo di sangue diventa un’odissea. Non è colpa dei medici e neppure degli infermieri o dei tecnici del laboratorio. Ma si continua a trafficare con provette e siringhe sotto un tetto di tela. «Stiamo come quella notte», dicono in coro al laboratorio, dieci persone al lavoro 12 ore al giorno in quaranta metri quadri di container, frutto di donazioni, ché quasi quasi ci si pestano i piedi. «No, niente nomi, in caso parla il primario. Ma c’è poco da dire: siamo ancora in tenda dopo sette mesi. Basta». Davanti al laboratorio analisi, che tra urgenze, esterni e ordinaria amministrazione «tratta» 400 persone al giorno, gli operai stanno montando delle strutture di legno. «Ma come?», chiede un utente.

«Non dovete andarvene da qui?». Sì, anche perché il commissario dell’Asl Giancarlo Silveri, l’uomo che deve realizzare la fusione tra le Asl dell’Aquila e di Sulmona-Avezzano, assicura al telefono: «Il laboratorio analisi per il 31 ottobre sta a posto». Scuotimento di teste. «Semmai», replicano gli operatori, «la nuova sala prelievi». In effetti è così. Al piano terra rispetto a dove stava prima ci sono locali quasi pronti. Manca solo una bella pulita, poi è tutto pronto, persino il contapersone smontato da sopra. Le provette, però, continueranno a viaggiare verso i container sistemati davanti all’asilo, dove il laboratorio si è allargato pure in un’ala «che era inagibile». La gente continua ad aspettare all’aperto. Quando piove, a terra è un lago. Tra qualche giorno, però, chi esce ed entra dallo stanzone dove sono stipati tutti i macchinari del vecchio laboratorio certificato di qualità avrà, almeno, un camminamento sotto tettoia.

No, niente batteriologia, qui, e niente biologia molecolare. Un medico mostra il suo giaciglio dove ci si appoggia di notte, mentre dal pronto soccorso, altra uscita e altra passeggiata, arrivano i campioni da indagare. Più avanti, vicino a Farmacia, pile di cartoni con dentro le flebo lasciate en plein air. Di fronte, l’accettazione del pronto soccorso nei container appare come una proboscide sul piazzale dove un’ambulanza fa fatica a girare. Chi cerca, qui, i reparti più colpiti dall’assenteismo, denunciato dalla Cisl, trova un muro di gomma. Solidarietà tra colleghi, invocazioni di privacy, scarsa voglia di mettersi in mezzo, e il capitolo a parte di quelli che hanno chiesto la mobilità, vicina alla proroga, per lavorare altrove. E non hanno alcuna intenzione di tornare all’Aquila. A parlare con il direttore sanitario dell’ospedale, dottoressa Giovanna Micolucci, il fenomeno è «realmente esistente e crea qualche problema al funzionamento della struttura.

Non è un mistero che le assenze, molte delle quali improvvise, ostacolino la ripresa della normalità». Ma è tutto, e solo, stress da terremoto? «No comment». Sui certificati non sempre è specificata la patologia. E anche se lo fosse, l’azienda non ha alcuna intenzione di mettersi a indagare. Figuriamoci se vuole diffondere una casistica delle malattie. Più medici o più infermieri? «Ecco, adesso non parlo più. Arrivederci». «Le malattie sono vere», rincara la dose Gianfranco Giorgi (Cisl), che ha lanciato il sasso dei certificati «anche più di 50 al giorno solo per i sanitari, senza contare gli amministrativi. Ma la gente è stanca, sfiduciata, malpagata».

L’ACQUARIO SFASCIATO. La curiosità è il motore che spinge verso il vecchio laboratorio analisi. Transenne spostate, un varco. E si è nel cuore della devastazione. E del ritardo nel ripristino. I controsoffitti sono scoperchiati, i termosifoni tutti rimossi e ammucchiati fuori, sulla scala d’emergenza. Dentro si salva ben poco. In un angoletto hanno messo un mucchietto di siringhe con ago scoperto raccolte qua e là. Vicino al grande atrio, dove ogni aquilano è passato almeno una volta nella vita, c’è un acquario sfasciato. Niente pesci. L’hanno spento, il filtro smontato, l’acqua che ristagna e puzza. Una radice rinsecchita. Chissà cosa ne pensa chi lo curava, fino a prima del 6 aprile. In compenso c’è una coperta che, forse, può tornare utile a quelli del laboratorio analisi che nella tenda, sfollati tra gli sfollati, ci passano la notte. «Sì, grazie, la faccio lavare», dice chi riceve il «dono».

IL G8 E L’OBITORIO. Il giro finisce passando davanti all’ospedale del G8: 50 posti letto sui 460 che il «San Salvatore» aveva prima. Esce acqua dai condizionatori. Più dietro, l’obitorio. Sette mesi dopo, la camera ardente è prima un camion, poi una tenda. Sette mesi dopo.