Patrioti uccisi dai nazisti ricorrenza dimenticata

Sulmona, sabato l’anniversario, ma al cimitero non ci sarà alcuna cerimonia Malvestuto (ex ufficiale della Brigata Majella): l’amministrazione deve rimediare

SULMONA. Ricorre sabato uno tra i più tristi anniversari per la città. Una pagina della storia cittadina e d'Italia che rischia, però, di finire dimenticata per sempre. Era il 20 ottobre 1943 quando, nel cimitero cittadino, furono trucidati dai tedeschi i patrioti Giuseppe De Simone di Pratola Peligna, Antonio Taddei, Giuseppe e Antonio D'Eliseo di Roccacasale.

Al riguardo, Gilberto Malvestuto, già ufficiale della Brigata Majella, lamenta una mancata e degna cerimonia di commemorazione, come è già avvenuto per l'anniversario del bombardamento della stazione centrale il 27 agosto 1943. «L’amministrazione comunale deve rimediare» afferma «perché è importante sostenere ancora, tra l'indifferenza di quanti nel nostro Paese hanno tutto dimenticato, il “ricordo” costruito, come Carlo Levi ci ha insegnato, con la dolente immagine dei nostri morti, dei fucilati, degli impiccati, dei torturati».

De Simone, Taddei e Giuseppe e Antonio D'Eliseo erano stati catturati tre giorni prima sul Morrone, erano stati sorpresi dai tedeschi mentre assistevano numerosi ex prigionieri anglo-americani che erano fuggiti dal campo di concentramento n. 78 di Fonte D'Amore. Dopo l’Armistizio dell'8 settembre 1943, infatti, gli oltre 3mila prigionieri anglo-americani che erano rinchiusi nel campo di concentramento furono liberati dai militari italiani di guarda. I prigionieri fuggirono tra le montagne e la maggior parte di essi si salvò grazie all'aiuto di famiglie, di pastori e di contadini. Nacque così la cosiddetta Resistenza umanitaria che ha caratterizzato il territorio peligno. I quattro patrioti furono trucidati proprio perché stavano sostenendo, offrendo cibo, gli ex prigionieri in fuga verso la libertà. Dopo la cattura, furono rinchiusi nel carcere della Badia. «Furono assistiti», ricorda Malvestuto, «da mio zio, don Salvatore Ficorilli che era stato prelevato dall’ospedale civile che, all'epoca era nel complesso dell'Annunziata. Egli raccontava che i prigionieri furono trasferiti dal carcere al cimitero, trascinati in catene, qui furono costretti a scavarsi una fossa in cui poi caddero sotto il piombo del plotone di esecuzione. Fra i condannati c'era un ragazzo di appena 18 anni, mio zio li strinse tutti e quattro in un ultimo abbraccio».

Solo nel 1995 ci fu una cerimonia il 20 ottobre.

Chiara Buccini

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