Lo fa spogliare in chat e lo ricatta: «Trova 3.500 euro o condivido il video»

La Polpost scova i responsabili: due donne (un’italiana e un’ucraina) e un uomo di origine africana. Minacciavano di divulgare il filmato sui social: «La tua bella vita all’inferno»
PESCARA. In tre finiscono sotto processo per estorsione ai danni di un uomo residente in provincia di Pescara, che cadde in una delle tante trappole dei social a sfondo sessuale. Quello che subì nel maggio del 2022, tecnicamente viene definita una “sextorsion”, termine che deriva dall’unione delle parole inglesi “sex” (sesso) ed “extortion” (estorsione). Si tratta di una comune truffa ai danni degli utenti di internet che, con l’illusione di una avventura sentimentale, si vedono estorcere immagini a sfondo erotico che poi vengono utilizzate quale strumento di ricatto.
Ed è quello che è capitato all’ignaro navigatore del web (nonché parte offesa nel processo che ieri, dopo essere stato ascoltato dal giudice, ha però deciso di revocare la sua costituzione) che venne contattato, tramite l’applicativo Messanger di Facebook, da una donna che gli aveva fornito un nome di fantasia. Quest’ultima prima era entrata in confidenza con alcune chat, poi gli aveva chiesto di spogliarsi davanti alla camera, così come avrebbe fatto lei. Il malcapitato, sperando forse di arrivare a qualcosa di più, aveva acconsentito ed era stato quindi ripreso dalla telecamera della donna.
E da quel momento per la parte offesa è iniziato l’incubo. Gli venne chiesto di versare 3.500 euro su un conto Postepay per evitare la divulgazione di quelle immagini e video a sfondo sessuale, dove l’uomo mostrava anche le sue parti intime. Intimorito, acconsentì di versare 1.000 euro su quel conto e altri 250 euro su un’altra Postepay intestata a un’altra persona, che poi le indagini accertarono essere stato soltanto uno strumento in mano a quei delinquenti, e peraltro soggetto affetto da disabilità, che però rimase ugualmente coinvolto nell’inchiesta, definendo la sua posizione con il patteggiamento in udienza preliminare.
Ma dopo quel pagamento, con il quale la parte offesa pensava di chiudere la partita, arrivarono altre richieste di denaro che convinsero la vittima a rivolgersi alla polizia postale. E così gli investigatori risalirono ai tre attuali imputati, tutti stranieri: due donne (una nata in Italia e una ucraina) e un uomo originario dell’Africa. I tre avevano studiato l’estorsione in tutti i particolari. I contatti su Facebook, peraltro tenuti con molta abilità senza far mai vedere nettamente il viso della interlocutrice, e mettendo in mezzo anche un disabile con lieve ritardo mentale conosciuto nel supermercato dove lavorava. Quest’ultimo venne invitato ad aiutare le due donne aprendo una Postepay a suo nome per poi consegnare tutta la documentazione alle due donne che gestivano i soldi che i malcapitati vi versavano (non si sa se, e quante altre estorsioni, siano andate a buon fine).
Sta di fatto che il disabile venne avvertito dai familiari che i suoi dati erano in circolazione per delle truffe e riferì tutto agli investigatori. Tornando all’estorsione di cui si sta occupando il tribunale, una delle due donne, per vincere la riluttanza della vittima, gli aveva anche inviato su Whatsapp il link del video a sfondo sessuale, proprio per fargli capire che non scherzava e che l’avrebbe mandato ai suoi familiari e colleghi di lavoro. «Non so come te la caverai, ma è meglio che trovi questa cifra prima delle otto di domani... darò la tua bella vita all’inferno... sei caduto sulla figlia del diavolo... le persone non mi potranno impedire di condividere il tuo video, renderlo disponibile a tutti i tuoi cari, amici, parenti. Inizierò a condividere il tuo video su Facebook, Instagram, Twitter».
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