Rabbia e speranza Gli aquilani vogliono dare battaglia

Le storie degli sfollati "Non posso andare nemmeno a guardare da lontano casa mia"

L’AQUILA. Incertezza sulla ricostruzione, ma soprattutto incertezza sul futuro della propria esistenza. L’iniziativa sui siti internet del Centro e di Repubblica. «Ieri e oggi, così è cambiata la nostra vita» sta portando alla luce decine di storie. Ognuna ha dentro di sè piccoli e grandi drammi giornalieri: i problemi del lavoro, la battaglia contro la burocrazia, la lontanza dalla città. Lidia Carlomagno scrive: «Domenica io e mio figlio abbiamo partecipato alla rivolta delle carriole, è stato molto emozionante. Vorrei far capire a quelli che parlano degli aquilani come degli incontentabili, noi non chiediamo nulla di più di quello che ci spetta».

Irene Margarita ricorda casa sua: «Una splendida abitazione in pieno centro storico in via Garibaldi, volte “a botte e a crociera” affrescate, palazzo dell’Ottocento. Vivevo lì con i miei genitori e mia sorella. Adesso mi rimane difficile descriverla: grosse lesioni attraversano le volte per 4 mt in altezza ed i muri portanti sia esternamente che internamente; la facciata del palazzo si è spostata in avanti interrompendo la continuità con i solai, alcuni muri e pavimenti sono crollati. Non si sta facendo nulla. Gli unici interventi che con, estrema fatica, siamo riusciti a ottenere sono quelli di messa in sicurezza del palazzo (per evitare che continui a crollare) che sono iniziati ad ottobre e oggi si trovano solo a metà. Non posso raggiungere la mia casa anche solo per guardarla dalla strada».

Antonio Giammatteo
racconta: «La casa della mia famiglia a San Demetrio è stata classificata “B“. Attualmente è inagibile e non abbiamo ancora l’autorizzazione a ripararla nonostante la domanda sia stata presentata il 22 ottobre 2009. La burocrazia invece di accelerare la ricostruzione, pone sempre nuovi ostacoli».

Patrizia Sericchi
: «La nostra casa è una palazzina bifamiliare situata a Pettino (via Sila Persichelli), è classificata E con danni strutturali e, a detta di tutti i tecnici è da abbattere. Vorremmo ricostruire due villette di volumetria più piccola avendo entrambi i proprietari circa 1000 metri quadrati di terreno. Siamo andati al comune per esprimere il nostro desiderio, ci è stato risposto che l’ordinanza prevede la ricostruzione con la stessa forma e volumetria, accetterebbero solo una riduzione di volumetria. Avevamo anche domandato, secondo quando previsto dall’ordinanza, di ricostruire casa su un altro terreno da acquistare nel comune dell’Aquila, anche qui ci è stato sconsigliato in quanto il terreno dove sorge la casa da abbattere diventerebbe non edificabile perchè si trova nella zona di rispetto dell’autostrada (autostrada costruita a ridosso delle due villette senza effettuare alcun esproprio). Abbiamo deciso quindi di ricostruire così come era la casa».

Stefania Mattioli
: «Vivevo nel quartiere di San Sisto da appena 3 anni, in una casa che, con mio marito, stavano piano piano sistemando, ed era bellissima, grande e luminosa. Quella notte siamo scappati con tra le braccia i nostri figli di 3 e 1 mese appena. Siamo rimasti a Pescara, nella casa del mare dei miei, (che sono ancora lì) fino ad ottobre, poi, finalmente, siamo rientrati grazie a degli amici che ci hanno prestato la loro casa mentre loro stavano nella casa paterna. A gennaio ci hanno consegnato la famosa “casetta“ a Paganica 1. Quando torno a casa mia per prendere qualcosa mi viene sempre da piangere, la guardo e penso che è, nonostante le crepe, bellissima. Il mio lavoro è un bel punto interrogativo (ero da poco diventata avvocato), mentre mio marito già a maggio aveva riaperto il suo studio odontoiatrico. Domenica siamo stati tutti e quattro a passare secchi di macerie della nostro bella città».

Elena Bonomo: «I miei genitori sono di Picenze, casa completamente inagile. Ora vivono con me a Roma ma ho parenti sparsi tra caserma, hotel al mare o da amici. Quello che dico io è ok le manifestazioni, la rabbia ma loro ancora non hanno avuto la casa di legno. Forse prima di volere la ricostruzione bisogna aspettare che tutti abbiano la casa».

Marta Vivio
: «Cerchiamo tutti di non pensarci perché fa male. Soprattutto fa male saperci disgregati, un pezzo di famiglia qui, un pezzo lì, un pezzo all’estero (siamo in 10). In ogni caso andiamo avanti col sorriso, a noi non ci butta giù nessuno».

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