Scopre le sue foto osè sul gruppo Mia Moglie e va dall’avvocato: «Io, umiliata»

Un’impiegata dell’Aquila coinvolta nello scandalo nazionale, il matrimonio finisce in frantumi
L’AQUILA. Lei è un’impiegata aquilana, poco più che trentenne, madre di un bambino piccolo. Venerdì ha scoperto che il marito era attivo su Mia Moglie, la piattaforma di scambio di foto e commenti a sfondo sessuale finita al centro di uno scandalo nazionale, ora chiusa da Meta. Non era un account inattivo quello dell’uomo, ma un profilo con pubblicazioni e interazioni recenti.
«Mi sono sentita tradita» ha raccontato la donna, che dopo aver messo le valigie del marito fuori dalla porta di casa si è rivolta all’avvocato Alessandra Lopardi, legale specializzata in diritto penale e di famiglia, per valutare i successivi passi da intraprendere e tutelare sé stessa e il figlio.
È il primo caso in Abruzzo di una moglie finita in questo gruppo che sta facendo scandalo.
«Mi sento ferita e disillusa, finita in pasto ai guardoni» ha confidato la donna al legale, chiedendo di mantenere la massima discrezionalità. «Avevo riposto tutta la mia fiducia in questo matrimonio, e invece mi ritrovo da sola, con un bambino piccolo, a fare i conti con un tradimento che non è solo virtuale, ma morale e umano».
Potrebbe trattarsi solo di uno dei tanti casi al centro di un’indagine della polizia postale di Roma. Sono decine e decine anche gli abruzzesi che frequentavano il gruppo social.
«Nella vicenda in esame», sottolinea l’avvocato Lopardi, «la signora non aveva prestato alcun consenso alla pubblicazione delle proprie fotografie e, anzi, non era nemmeno a conoscenza del fatto che tali immagini, del tutto riservate ed esplicite, fossero state diffuse. A partire dal 2019, con l’introduzione del cosiddetto Codice rosso, è stato inserito nel codice penale l’articolo 612-ter, il cosiddetto revenge porn, che disciplina il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate. È importante sottolineare che la responsabilità penale non ricade soltanto sugli amministratori dei gruppi o su chi materialmente pubblica le immagini, ma anche su chi contribuisce a diffonderle ulteriormente. Questo orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza, in particolare dalla Cassazione penale».
L’avvocato Alessandra Lopardi chiarisce inoltre: «Anche scatti che richiamano le sessualità in modo più sottile, purché trasmettano un chiaro significato erotico, tenendo conto del contesto, rientrano nei contenuti sessualmente espliciti. Le fotografie, in quanto dati personali, non possono essere diffuse senza consenso: un simile comportamento costituisce violazione della privacy e trattamento illecito dei dati, con conseguente danno all’immagine della persona coinvolta. In alcune casistiche può configurarsi inoltre il reato di violenza privata. È importante ribadire che ogni caso ha dei connoti propri e va valutato con la massima attenzione. Nel caso specifico della mia assistita, coniugata, la condotta del marito può essere considerata violazione dei doveri matrimoniali. L’assistenza morale, come dovere conseguente al matrimonio, implica rispetto per il coniuge, e la sua inosservanza può comportare l’addebito della separazione oltre al diritto al risarcimento del danno».
Ma che tipo di reato si configura in questo caso? Secondo l’avvocato Lopardi «queste donne sono essenzialmente vittime di Revenge porn, che spesso hanno paura di rivolgersi alla giustizia perché vivono un senso di colpa che non dovrebbe appartenergli. Quando l’autore è il partner, il dolore e la ferita psicologica sono ancora più profondi. Il mio invito è a denunciare e a far valere i propri diritti: è un atto di forza che serve anche a rompere un sistema fatto di soprusi e silenzi. Inoltre si evidenzia che il reato di cui all’articolo 612-ter del codice penale contempla anche aggravanti: qualora sia perpetrato da un coniuge, da un partner o da una persona con cui sussiste o è sussistito un vincolo affettivo, qualora la vittima sia in condizioni di inferiorità fisica o psichica o in stato di gravidanza, e nel caso di diffusione delle immagini tramite strumenti informatici. La pena prevista per questa ipotesi di reato contempla una multa che va da 5.000 a 15.000 euro e da uno a sei anni di reclusione; la pena base aumenta in presenza di aggravanti. Il risarcimento può coprire il danno morale per il trauma emotivo subito; se ci sono conseguenze sulla salute, si può aggiunge il danno biologico; se invece l’evento impatta notevolmente sulla vita quotidiana o sulle relazioni, si può riconoscere anche il danno esistenziale. L’azione risarcitoria, costituendosi parte civile, può seguire il processo penale oppure essere avanzata direttamente in sede civile, ma ogni caso va valutato singolarmente, conclude il legale Alessandra Lopardi.
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