Tempera, le voci dentro il borgo

Il centro storico oggi è un cumulo di macerie, ma la vita non si è fermata. I ragazzi giocano a due passi dai detriti, gli operai mettono in sicurezza quel che resta delle case

TEMPERA. Fra le macerie del vecchio borgo di Tempera oggi si sentono le voci degli operai che mettono in sicurezza palazzo Vicentini. Se un anno fa si riconoscevano ancora le tracce del passato cancellato da pochi secondi di terra ruggente, adesso si vede il caos indistinto. Sono tornato nel paese dell’acqua, là dove il fiume Vera scorre placido, quasi indifferente a quel paesaggio fatto di case spezzate, di piazze senza più le persone e ora riempite con i resti del paese infranto.

MAPPA Il viaggio di Parisse

Un anno è passato, era metà maggio quando vidi per la prima volta l’inizio di una storia che doveva ripartire da una tragedia. Tempera, il sei aprile del 2009 è stato cancellato. Il borgo, aggrappato su un piccolo colle, ha tremato fino a sparire. Otto persone non ce l’hanno fatta. Alcuni anziani se ne sono andati in silenzio nei mesi successivi travolti dall’angoscia. Dodici mesi fa nell’aria c’era ancora l’odore della polvere. I vigili del fuoco erano ovunque. Tante persone alla ricerca di un pezzo della propria vita rimasto sepolto sotto quei nidi di pietre e cemento rotti dalla forza della natura.

Oggi all’ingresso del paese, nella piazzetta delle Oche, si sentono i rumori dei gruppi elettrogeni che alimentano i cantieri dove si lavora alla messa in sicurezza di alcune abitazioni. Con me ci sono Rosanna Scimia, la giovane e combattiva presidente della Tempera Onlus (l’associazione nata qualche settimana dopo il sisma) e il parroco don Giovanni Gatto che deve la sua vita al cane che quella notte lo svegliò e poi gli fece strada fra i cunicoli che si erano formati a causa del crollo della canonica. Quel cane pochi giorni dopo morì investito da una macchina. Don Giovanni non l’ha dimenticato e ne parla come potrebbe parlare di un amico che non c’è più.

Nel tratto di strada che porta alla zona alta del borgo, quello più colpito, c’è uno slargo con un piccolo campo di calcetto. Un gruppetto di ragazzi gioca. Un tiro un po’ più forte e il pallone finisce su un balcone appeso all’unico muro rimasto in piedi di quella che una volta era una bella casa. Rosanna vede uno dei quei ragazzi avvicinarsi al balcone e lo ferma: «Troppo pericoloso, lascia perdere, te lo compro io un altro pallone». I ragazzi capiscono, si prendono una pausa e vanno a rinfrescarsi con l’acqua del fiume Vera, forse l’unica acqua al mondo che si può ancora bere direttamente senza correre il rischio di ammalarsi.

A fianco al campetto c’è una casetta che don Giovanni ha utilizzato per mesi come chiesa. Quando la gente è tornata dagli alberghi per occupare gli alloggi del piano Case o i map (moduli abitativi provvisori) è diventata troppo piccola e allora il parroco ha chiesto di poter utilizzare la sala di proprietà dell’amministrazione degli usi civici: è lì che ora celebra la messa ma il suo sogno resta quello di una chiesetta di legno come ce l’hanno ormai da mesi tanti altri paesi colpiti dal sisma. Per ora ha avuto solo promesse finite nel nulla.

E’ arrivando nella piazza principale che ci si accorge che dal sei aprile del 2009 la vita nel cuore di quel borgo non è mai ripresa. Quella che una volta era la chiesa parrocchiale è semplicemente un cumulo di materiali ammassati uno sull’altro ed è impossibile persino immaginare come poteva essere quel luogo fino al 5 aprile del 2009. Dalla piazza, nell’altra storia, partivano due stradine che portavano verso la parte bassa, là dove scorre il Vera. Di quelle stradine oggi non resta che una flebile traccia.

Davanti a una casa rimasta in piedi ma che dovrà essere comunque abbattuta, c’è il segno del dolore. E’ un leggìo. Sopra c’è un foglio con gli otto nomi di coloro che non ce l’hanno fatta. Fra loro anche Dario Ciuffini, il ragazzo rimasto ucciso a casa della nonna di 94 anni. Dormiva con lei per farle compagnia e rassicurarla. Sotto il leggìo, appoggiato a terra, un foglio protetto da una cartellina di plastica con un messaggio a Dario scritto da Claudia, una sua amica: «Un anno fa avevo un amico, una tragica notte morì, fu il momento più triste della mia vita, per settimane e settimane piansi, attraverso rabbia e lacrime... So che lui è un angelo ora, il suo spirito è come il vento, l’angelo sta vigilando su di me».

E sulla stradina che ci allontana dalla zona rossa il vento si infila e porta le voci fino ai nuovi alloggi poco distanti. E’ da lì che arrivano Giuseppina e Guido. Hanno 80 e 85 anni e sono i nonni materni di Rosanna. Sono usciti dal loro map per andare a dare da mangiare alle galline. E’ il rito pomeridiano a cui non vogliono e non possono rinunciare. Guido porta in tasca sempre un po’ di cibo per cani perché sa che nella piazzetta silente staziona quel cucciolotto tutto nero e «tanto buono». Quando i nonni ci vedono sperano che fra noi ci sia anche qualche vigile del fuoco. Giuseppina è decisa: «Voglio tornare a vedere quel che resta di casa mia, fosse anche l’ultima cosa che farò». La nipote li rassicura: parlerò io con i vigili del fuoco e ci andremo. Abitavano nella piazza dei Cantatori, era il loro angolo di paradiso. Ora sono nell’alloggio provvisorio, non si lamentano ma il loro pensiero è sempre alla vecchia casa. E’ il dramma di un terremoto che sembra non finire mai. Si parla ormai da tempo di aggregati, di consorzi, di progetti di ricostruzione. Si accavallano incontri e riunioni. Ma oggi a Tempera, come in tutti i luoghi del cratere, il tempo è sospeso. E un anno è già passato.