Aborto, i medici e la svolta di Bergoglio. Gli obiettori: ma non è una legittimazione. I laici: riparta la politica

Anche i ginecologi d’accordo sull’opportunità del messaggio Marcozzi, primario di Teramo: ora la Chiesa si apra alla contraccezione

PESCARA. «Sono laica, ma non vuol dire che aiutare le donne nelle interruzioni di gravidanza non mi abbia pesato». Mirta Sciocchetti, ginecologa di Chieti ed ex consigliere regionale di centrosinistra con la giunta Falconio (1995-2000) oggi è in pensione ma per anni è stato il punto di riferimento, l’unico, all’ospedale di Chieti, per le donne che chiedevano di abortire. Uno dei pochi medici non obiettori che, per il suo lavoro, ha toccato con mano quel dramma sociale che spesso si rivela l’interruzione di gravidanza.

«Mi sono messa a disposizione delle donne da quando è uscita la legge, e ne ho viste di tutte le età», racconta il medico, «giovanissime, vicine alla menopausa, già con uno o due figli e, soprattutto negli ultimi tempi, straniere. Tutte accomunate da una scelta dolorosa e spesso con problemi che per molte si sono trascinati per anni anche per motivi religiosi. Per questo è sicuramente positiva l’apertura del Papa. Ma il vero dramma oggi», denuncia la ginecologa in pensione dal 2007, «è che è sempre più difficile garantire l’applicazione della legge. Il centro di pianificazione familiare che c’era a Chieti e di cui sono stata responsabile è stato spostato a Ortona quando sono andata in pensione e alla fine ha chiuso insieme al punto nascite». Oggi si deve arrivare all’ospedale di Lanciano dove due ginecologi sui 40 dell’intera Asl, un giorno a settimana raccolgono le domande dell’intero territorio di Lanciano-Vasto-Chieti. «Ecco», conclude Mirta Sciocchetti, «al di là dell’apertura del Papa serve un risveglio da parte delle associazioni delle donne, e dei partiti. La Regione deve riprendere in mano la questione, perché più si va avanti e più è difficile applicare la legge».

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Dall’Aquila, il professor Gaspare Carta, direttore dell'Unità operativa complessa di ostetricia e ginecologia dell'ospedale San Salvatore dice subito: «Sono obiettore di coscienza per scelta personale, intima e religiosa e non eseguo interruzioni di gravidanza, ma esiste una legge dello Stato, la 194 del ’78, che consente l’aborto, che viene praticato anche nel nostro reparto, dove un équipe di ginecologi non obiettori è a disposizione delle donne che, per scelta o gravi motivazioni personali, ricorrono all’interruzione di gravidanza». Ma, ribadisce il primario: «Come credente e cattolico ritengo che la vita sia sacra fin dal primo momento e condivido pienamente quanto affermato da Papa Francesco: quella del Pontefice», dice Carta, «non è una legittimazione dell’aborto, ma un’apertura al pentimento. È questo il vero concetto».

Più o meno sulla stessa onda Paolo Mascellanti, ginecologo tra i 15 obiettori della Asl pescarese a fronte dei tre abortisti: «La risposta più breve e coincisa la diedi tanti anni fa, rifiutando un posto per l’interruzione volontaria di gravidanza che mi proponevano all’ospedale di Penne: non tirerò mai fuori un bambino vivo dentro l’utero, dissi. Non ero ancora cristiano, ma non accettai quel posto. Oggi dico che l’aborto è un peccato grave, abominevole, uccidere i propri figli non è degno dell’umanità. Ma il segnale che il Papa ha dato non è che l’aborto si può fare, piuttosto ha dato l’immagine di una Chiesa che non emana verdetti, ma accoglie le persone. Se una persona a un certo punto della sua vita comprende l’entità di quello che ha fatto, può essere assolta dal sacerdote. Ma nessun discorso sulla liceità dell’aborto, il Papa lo dice correttamente: “se la persona dà segni di pentimento”. Il rischio invece è che qualcuno la possa intendere in senso sbagliato, come liceità del fare, “tanto non è niente”. Com’è successo con la legge sull’aborto che all’epoca ebbe un effetto liceizzante, opacizzando la gravità del fatto: se lo Stato mi dà strutture e personale vuol dire che è una cosa normale, che si può fare. Ma non è questo il messaggio».

A Teramo, nel reparto di Ostetricia, su 13 medici 4 sono non obiettori. Due non obiettori su otto, invece, nel reparto di Sant’Omero. «I medici non obiettori non sono pochi, considerato quello che accade altrove», spiega Anna Marcozzi, primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Teramo e direttore del dipartimento materno-infantile della Asl, «gli obiettori in genere sono la quasi totalità. Salvando una quota che lo fa per motivi religiosi ed etici, una larghissima parte fa questa scelta per convenienza. Il medico non obiettore è sottoposto a una discriminazione lavorativa: si deve accollare la responsabilità del servizio di interruzione volontaria di gravidanza ma anche della donna, che deve seguire nella contraccezione. In questo modo spesso non accede ad altre attività importanti per la crescita professionale. Da noi non accade perchè ce ne sono quattro, ma si pensi che cosa accade quando ce n'è uno solo: gli viene preclusa ogni altra attività».

Marcozzi confessa di sentire molto «le problematiche di genere: ho sempre ritenuto che l'interruzione volontaria di gravidanza (Igv) fosse un male necessario, nell'interesse della salute delle donne. Tirarsi fuori dal gioco non aiuta a fare prevenzione: significa anche portare la donna alla contraccezione, alla consapevolezza, alla prevenzione». La lettera apostolica del Papa è «sicuramente positiva», conclude, «la Chiesa finora non aveva fatto nessuna apertura sull'argomento. È un papato illuminato. Non c’è alcuna apertura sull’aborto in quanto tale, nessuno si aspetterebbe il contrario. Sarebbe però augurabile che la Chiesa si aprisse alla contraccezione secondo il termine medico e moderno della cosa. La prevenzione dell'interruzione di gravidanza passa attraverso l'educazione sessuale e l'uso di contraccettivi. La 194», spiega, «parla di prevenzione, della funzione dei consultori che invece non vanno, punta a far arrivare a una maternità consapevole: non è solo autorizzare l’interruzione. Si tratta di una legge che ha ridotto le Ivg, che rimangono, purtroppo, numerose tra minori ed extracomunitarie».

(ha collaborato Monica Pelliccione)

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