Cantagallo, la sentenza slitta di 10 giorni

Processo Ciclone, la difesa di Canale: indagine partita dalla rabbia di Colangelo. Lotorio: palazzi costruiti senza truffe
PESCARA. Slitta di 10 giorni, dal 18 al 28 dicembre prossimo, la sentenza del processo Ciclone sul presunto malaffare al Comune di Montesilvano: sarà un Natale di ansia per l’ex sindaco Pd Enzo Cantagallo – il pm Gennaro Varone per lui ha chiesto una condanna a 6 anni, più la confisca di 417 mila euro, un pianoforte e 3 orologi e l’interdizione perpetua dagli uffici pubblici – e per gli altri 31 imputati. Perché il processo, a distanza di più di 6 anni dai primi arresti, si allunga ancora? Ieri, l’avvocato Italo Longo, difensore dell’ex dirigente all’Urbanistica Ronaldo Canale, ha fatto saltare tutti gli schemi con un’arringa durata quasi 4 ore: un monologo che ha costretto tutti gli altri avvocati al silenzio e a passare al prossimo turno dilatando così il processo di un’udienza. A chiudere il monologo di Longo è stato Sabatino Ciprietti, altro difensore di Canale, con 15 minuti teatrali: Ciprietti ha paragonato il Ciclone alla tragedia di Otello di William Shakespeare. «Questo è un procedimento generato da troppo livore verso Canale», ha urlato Ciprietti dicendo che il ruolo del cospiratore Iago, a Montesilvano, sarebbe stato giocato dall’architetto Aurelio Colangelo, grande accusatore di Cantagallo. Ciprietti ha ripreso in mano una deposizione resa da Colangelo al pm Varone il 22 novembre 2006, una settimana dopo i primi arresti per l’appalto delle fogne di via Adige: a Varone, l’architetto rivelò di essere «risentito» con Cantagallo «perché dal momento in cui è diventato sindaco ha dato disposizione a Canale di bloccare tutte le iniziative dei nuovi cantieri del Pp2 e in particolare di un Pue sulla strada parco». «Ecco il principio del Ciclone», ha detto Ciprietti. «Qui c’è il sospetto che l’indagine e il processo abbiano preso una certa piega contro Canale», gli ha fatto eco Longo, «Canale sembra il prezzemolo che si ritrova in quasi tutti i capi di imputazione». Quasi un parafulmine o una leva, così ha teorizzato la difesa, per scaricare poi il peso dei reati anche sui politici.
Nell’aula 1 del tribunale di Pescara, è stato anche il giorno di Vladimiro Lotorio, l’ex capogruppo della Margherita e imprenditore considerato dagli investigatori il fondatore del partito del mattone di Montesilvano. Dopo 6 anni di silenzio, Lotorio ha dato la sua versione: «Lotorio», ha detto l’avvocato Giancarlo De Marco, «è stato arrestato per aver avuto la sfacciataggine di chiedere l’applicazione anche a Montesilvano dello scomputo degli oneri concessori già applicato al Comune di Pescara senza che la procura abbia mai avuto qualcosa da ridire. E poi una sentenza del Tar sull’Arca di Villa Raspa di Spoltore ha legittimato tale pratica. Il reato di truffa», ha sottolineato De Marco, «è insussistente: ci sono soltanto sospetti non provati». Sulle presunte parcelle a Canale per mascherare tangenti: «Niente di più sbagliato». E i presunti lavori gonfiati per risparmiare sulle opere di urbanizzazione, come sostiene la procura per piazza Le Lune lungo via Vestina? «È una questione civile e non penale». Sull’assunzione della figlia di Canale nell’impresa Lotorio, un’assunzione che l’accusa considera un favore per evitare controlli, De Marco è passato al contrattacco: «A chiacchiere si può dire tutto ma non ci sono atti che dimostrano un’ipotesi del genere. È tutta una favoletta, un pettegolezzo da bar». Il caso Villa Delfico – per l’accusa emblematico del sistema Montesilvano con 20 mila metri di cubatura contesi tra gli imprenditori e con le regole cambiate alla vigilia dell’apertura delle buste – è stato ridotto così: «Ecco la perla dell’indagine», ha detto De Marco, «non c’è prova che il bando sia stato concordato tra Lotorio e Canale: è un’illazione. Chi è stato escluso dall’affare ha messo in giro malignità», così ha sostenuto De Marco riferendosi agli sms che l’architetto Colangelo spedì da una nave da crociera, il 3 settembre 2006 alle 12,22: «Come posso godermi le ferie sapendo che la commissione composta da Canale, De Martiis e Americioni ha giudicato meglio il lavoro di Lotorio che è il capogruppo della Margherita?», così scrisse Colangelo a Massimiliano Pavone, ex presidente del consiglio e oggi capogruppo Pd, che girò subito, «con parecchio disagio», il messaggino a Cantagallo aggiungendo che «ambasciator non porta pena».
Tornando a Lotorio, l’avvocato Elio Di Filippo, difensore della ditta Camel, ha rinnegato le accuse: «La Camel non ha avuto vantaggi ma danni di almeno 200 mila euro dal Comune».
Sul rapporto tra l’imprenditore Duilio Ferretti e il dipendente comunale Alfonso Di Cola, l’avvocato De Marco ha smontato l’ipotesi di corruzione: «Non esiste nessuna tangente a Di Cola ma solo qualche piccolo regalo dettato da un’amicizia conclamata. Di Cola non avrebbe potuto condizionare le scelte dell’amministrazione: va assolto».
«Non c’è concussione», per l’avvocato Aldo Moretti, che assiste l’ex sindaco Paolo Di Blasio, «e Bruno Chiulli non è attendibile».
Si è difeso Salvatore Colangelo, ex sostituto commissario della Mobile accusato di omessa denuncia per la fuga di notizie che minò la segretezza dell’inchiesta subito dopo l’avvio delle intercettazioni: «La sua carriera non può essere macchiata», ha detto l’avvocato Paolo Marino.
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